«Saremo la prima democrazia al mondo a partito unico». Così Nayib Bukele si è proclamato di nuovo presidente in El Salvador (a scrutinio ancora in corso) con oltre l’80% dei voti.

«Abbiamo battuto ogni record della storia democratica mondiale» ha aggiunto riferendosi pure agli oltre due/terzi dei deputati in parlamento ottenuti dal suo partito Nuevas Ideas, indispensabili per rinnovare lo «stato di eccezione» in vigore dal marzo 2022. Che gli aveva permesso, sospendendo le garanzie costituzionali, di incarcerare oltre 70mila giovani accusati di far parte delle pandillas. Col risultato di far precipitare il tasso di omicidi. E vantarsi di essere passato «dal paese più insicuro al più sicuro dell’emisfero occidentale». Ma omettendo di essere assurto al contempo a nazione con la più alta percentuale di popolazione in prigione del pianeta. Mentre alle varie entità in difesa dei diritti umani che hanno denunciato abusi e detenzioni di innocenti Bukele così si è rivolto: «La polizia può anche sbagliare; ma questi organismi internazionali non rispondono che a lobbisti che vogliono mantenerci poveri».

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UNO DEI SUOI SLOGAN nella campagna elettorale era stato del resto: «Preferisci che i pandilleros tornino liberi?». Dunque il consenso e i voti ottenuti sono ovviamente reali, a differenza del vicino Nicaragua dove Daniel Ortega si mantiene al potere a suon di brogli e repressione. Così come si è confermata la riduzione a una sola cifra dell’ex guerriglia del Fmln e della destra Arena.
Quello che non è chiaro, né verificabile visto che l’apparato di Bukele controlla ogni istituzione del paese (compreso il Tribunale elettorale, peraltro finito in tilt durante il conteggio) è il dato sull’affluenza alle urne e di conseguenza il peso dell’astensionismo. Bukele infatti (forse preoccupato) oltre un’ora prima che chiudessero i seggi e violando il silenzio elettorale si era rivolto alla nazione raccomandandosi di recarsi a votare.

LE CONSULTAZIONI si sono svolte senza particolari sussulti. Salvo la detenzione del poeta Carlos Borja che all’esterno del suo seggio ha osato leggere gli articoli della Costituzione che vietavano la ricandidatura presidenziale. Ma questo ormai sarà il destino degli oppositori democratici. Come i giovani giornalisti di El Faro, primo periodico indipendente digitale dell’America Latina, che hanno dovuto lasciare il paese. O il grottesco mandato d’arresto (per fortuna non eseguito) emesso alla vigilia di queste elezioni nei confronti dell’81enne Rubén Zamora, storica figura e primo candidato a presidente della sinistra dopo il conflitto; o le intimidazioni verso i gesuiti dell’Università Centroamericana; o ancora verso il cardinale Rosa Chavez, che aveva già anticipato l’instaurazione di «un regime del terrore sulla strada del partito unico».

Vedremo ora se «il dittatore più cool» (quale Nayib si è autodefinisce) riuscirà a risollevare i salvadoregni che lo hanno votato alleviando anche la loro disperante miseria. Oltre che arginare la corruzione crescente del suo entourage.