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«L’Ecuador in mano ai narcos e il potere dava la caccia a me»

«L’Ecuador in mano ai narcos e il potere dava la caccia a me»Rafael Correa – Getty Images

Crisi di sicurezza Intervista all’ex presidente progressista Rafael Correa, che dal 2017 vive esule in Belgio

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 21 gennaio 2024
Elena BassoBUENOS AIRES

Pochi giorni fa le immagini dall’Ecuador di una banda armata che irrompe in diretta nello studio di una trasmissione televisiva hanno fatto il giro del mondo, e dopo solo una settimana è stato ucciso il pm che indagava sul caso. Ma l’enorme crisi di sicurezza che sta attraversando il Paese latinoamericano va avanti da anni: l’Ecuador si è velocemente trasformato, passando in poco tempo da essere uno dei Paesi più sicuri del continente a uno dei più pericolosi al mondo.

Da quando i cartelli del narcotraffico hanno iniziato a spostarsi nel Paese, dalla Colombia e dal Perù, la situazione è precipitata vorticosamente. Oggi l’Ecuador è il principale corridoio della cocaina diretta verso l’Europa, le prigioni sono in mano ai narcos che le usano come ufficio per dirigere le loro operazioni, il Paese è sprofondato nel caos.

Oggi a guidare l’Ecuador è Daniel Noboa, il neo-eletto presidente 35enne rampollo della famiglia bananiera più ricca del paese, che ha dichiarato lo stato d’emergenza riconoscendo che l’Ecuador sta vivendo una vera e propria guerra interna contro le bande del narcotraffico. Ma per dieci anni a guidare il Paese è stato Rafael Correa, senza dubbio la figura politica più amata – e allo stesso tempo odiata – della storia recente ecuadoriana. Economista e accademico, oggi ha 60 anni ed è stato presidente dell’Ecuador dal 2007 al 2017, portando avanti una serie di politiche pubbliche di forte stampo sociale che hanno permesso una rapida crescita economica e lo sviluppo del Paese. Poi il consenso è sceso, anche da sinistra sono arrivate critiche di involuzione neoliberale. E dal 2017 Correa vive in Belgio come rifugiato politico, coinvolto in Ecuador per un presunto scandalo di corruzione e condannato a 8 anni. Ma il correismo è ancoraben vivo.

Lei si sarebbe mai immaginato che il suo Paese avrebbe vissuto una crisi così profonda come quella di oggi?
Mai, non avrei mai potuto immaginarlo. Ho passato la mia vita a studiare i vari modelli di sviluppo, e non ho mai visto un Paese che, in tempo di pace, sia stato distrutto così velocemente come l’Ecuador. Quando il mio governo è finito, era il secondo Paese più sicuro dell’America Latina dopo il Cile, con 5,8 omicidi su centomila abitanti. Il 2023 si chiude con 43 omicidi su centomila abitanti, un dato impressionante: l’Ecuador è uno dei 5 Paesi più pericolosi al mondo.

Quali sono le cause?
Dal 2017 in poi sono state smantellate tutte le riforme e istituzioni che avevamo creato proprio sul tema della sicurezza. È stato eliminato il Ministero coordinatore della sicurezza, che lavorava con Colombia e Perù nelle operazioni antidroga. La polizia è tornata un’istituzione indipendente senza controllo civile, e oggi è corrotta ed è stata estremamente infiltrata dal narcotraffico. Per non parlare delle numerose riforme a stampo neoliberista che sono state fatte e che hanno smantellato lo stato di diritto, facendo cadere buona parte dei cittadini nella povertà. E questo è un grave problema perché il crimine organizzato si nutre anche dei problemi socioeconomici del Paese: se c’è povertà è più facile attirare nuovi membri, soprattutto tra i più giovani. i gruppi criminali cominciano ad agire come uno Stato parallelo e organizzano feste di Natale nei quartieri, aiutano le famiglie più povere regalando quaderni e libri ai figli, dipingono le scuole delle zone più degradate. E così, poco alla volta, entrano nella vita dei cittadini. Ma negli ultimi anni chi ha governato in Ecuador si è dedicato con molta più forza a incriminare me e il mio partito che non a combattere le gang .

Quale è oggi il livello di corruzione da parte nel narcotraffico negli apparati della politica ecuadoriana e delle forze militari?
Estremamente alto. Basta pensare che le carceri sono totalmente comandate dai narcotrafficanti che usano le prigioni come ufficio e da cui dirigono tutte le operazioni. Nessuno oggi può entrare in un carcere ecuadoriano senza avere il permesso delle gang. Sono infiltrati anche nel sistema della giustizia, dove ci sono tantissimi giudici completamente corrotti e che agiscono guidati da queste bande criminali. Dall’altro lato ci sono tanti giudici e procuratori coraggiosi che vengono assassinati e le cui famiglie vivono sotto minaccia di morte, ma cosa possono fare se lo Stato non li protegge? Oggi la corruzione è arrivata fino alle più alte sfere del potere militare, basta pensare alle figure dei “narcosgenerales”, generali delle forze armate ecuadoriane che sono vincolati al narcotraffico.

Secondo lei, in questa situazione, quali sarebbero le misure da adottare per combattere il narcotraffico e riportare l’Ecuador alla stabilità?
Per riprendere il controllo del Paese servirebbe, per prima cosa, riformare il ministero della giustizia con una squadra intera che possa coordinarsi e agire simultaneamente su più fronti, eliminando la corruzione e riprendendo prima di tutto il controllo delle carceri. Servirebbe un ministero dell’interno che torni ad avere il controllo della polizia e che si preoccupi soprattutto della sicurezza dei cittadini. Avremmo bisogno di un vero Ministero della difesa, che oggi sembra essere inesistente, recuperando l’apparato di intelligence dello Stato che è stato negli anni totalmente abbandonato. Lo Stato dovrebbe occuparsi di fare davvero giustizia: tutti sanno chi sono i grandi capi della droga, però non finiscono mai in carcere.

Quale crede potrà essere il futuro politico dell’America Latina? Si imporranno i politici di estrema destra, come Milei o Bolsonaro, o i grandi movimenti progressisti?
Credo che in America Latina siano stati fatti passi in avanti molto significativi. Nonostante la preoccupante crescita di movimenti di estrema destra, il panorama politico è molto migliorato rispetto agli anni ’90, quando la destra governava praticamente in tutto il continente. Prima che venisse eletto Milei in Argentina, tutte le maggiori economie della regione erano guidate da movimenti progressisti. Un fatto inedito in America Latina e molto importante. A livello mondiale purtroppo stiamo vivendo un momento in cui la discussione politica si è totalmente polarizzata, e questo permette la nascita di questi movimenti di estrema destra promotori di politiche che, soprattutto in Paesi ancora in via di sviluppo, sarebbero davvero disastrose.

Oggi cos’è il “correismo”?
È il progressismo ecuadoriano e io sono convinto che ci siamo creati così tanti nemici negli anni perché il nostro progetto ha avuto molto successo, e a nessuno conviene che i movimenti progressisti in America Latina lo abbiano. Però nonostante tutto quello che è accaduto, nonostante io non possa ritornare nel mio Paese, continuiamo ad essere la principale forza politica dell’Ecuador e le ultime elezioni le abbiamo perse per soli 3 punti. Non posso dire quanto durerà ancora il correismo e che cosa accadrà, però posso assicurare che è ancora molto forte.

Si parla molto del modello anti-narcos del presidente del Salvador, Nayib Bukele, in cui lo Stato usa molta violenza per sconfiggere le gang senza curarsi troppo dei diritti umani. Cosa ne pensa?
È il tipico modello che usa la destra per risolvere questo tipo di problemi. Se ci sono molti morti per colpi di arma da fuoco, qual è la risposta di questi governi? Liberalizzare le licenze e fare in modo che tutti i cittadini possano camminare per le strade armati. Però questo tipo di riforme non risolve la situazione, crea solo altri problemi. Io non sono d’accordo con il modello di Bukele, il nostro governo in Ecuador aveva ottenuto risultati migliori in termini di sicurezza, e lo abbiamo fatto senza repressione, senza violare i diritti umani ma concentrandoci sullo sviluppo umano della nostra società. Quando si affrontano queste crisi le persone perdono la sensatezza e cercano soluzioni facili, dimenticandosi quello che eravamo prima. In questi contesti c’è bisogno di conoscere il modo in cui arrivano i soldi e la droga, come si esporta, come arrivano nel Paese le armi e la tecnologia. E per combattere un traffico internazionale, serve uno Stato che agisca a livello internazionale. Per affrontare il crimine organizzato non c’è bisogno di Rambo, ma di Sherlock Holmes.

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