È finita l’epoca dell’Anpal: tutti i suoi equivoci restano
Il caso L’agenzia assorbita dal ministero del lavoro, immutati i problemi delle «politiche attive». Una storia tormentata, le polemiche sul «reddito di cittadinanza»
Il caso L’agenzia assorbita dal ministero del lavoro, immutati i problemi delle «politiche attive». Una storia tormentata, le polemiche sul «reddito di cittadinanza»
È finita l’era dell’Agenzia Nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal), ma non gli equivoci di cui essa è stata l’espressione. L’assorbimento di questa agenzia nella direzione delle politiche attive del ministero del lavoro non farebbe notizia. Lo fa perché dagli oltre 10 miliardi di euro che gestisce dipende la dignità personale di centinaia di migliaia di persone che oggi percepiscono l’«assegno di inclusione» e il «supporto di formazione e lavoro», le misure volute dal governo Meloni in sostituzione del «reddito di cittadinanza».
TUTTO È INIZIATO con il governo Renzi (allora nel Pd) che ha creato l’Anpal con il Jobs Act. Fu allora che il destino di questa agenzia fu legata al referendum costituzionale del 2016. Da lì avrebbe dovuto nascere una riforma che avrebbe attribuito allo Stato anche le competenze regionali sulle politiche del lavoro. Sconfitto alle urne, da allora non è stato più possibile realizzare una politica organica nazionale ispirata ai criteri del Workfare diffuso negli altri paesi europei.
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Meloni: l’odio dei poveri concentrato in una fraseGLI ALTRI GOVERNI hanno fatto finta di nulla. Il «Conte 1» (Cinque Stelle con la Lega) e il Conte 2 (di segno politico opposto), hanno pensato che tale politica fosse realizzabile attraverso un «coordinamento» tra soggetti diversi – lo Stato e le regioni. Senza accorgersi che l’impossibilità di realizzarlo è diventata un’altra occasione per scatenare l’odio dei poveri e attaccare i beneficiari del «reddito di cittadinanza» che non «volevano lavorare e stavano sul divano». In realtà, pur volendo lavorare, gli «occupabili» non hanno trovato un impiego, né strutture capaci di «allineare domanda e offerta» come promesso dalle «politiche attive del lavoro».
SONO STATE TEMPESTOSE le vicende dell’Anpal e soprattutto della sua società «in house» Anpal Servizi che passerà a Sviluppo Lavoro Italia controllata dal ministero del lavoro e nel cda ci sarà spazio anche per un rappresentante delle regioni. C’è stato l’indimenticato Mimmo Parisi. La battaglia dei precari dell’azienda per la stabilizzazione. Dovevano essere loro a formare i “navigator”, protagonisti di una vicenda più che nota, esemplare delle politiche attive del lavoro e alla fine contraddittoria.
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Inizia l’avventura dei navigator nell’economia della promessaPoi, dopo il cambio di governo “Conte 2”, l’Anpal è stata commissariata per due anni da Raffaele Tangorra. All’Anpal servizi c’è stato frenetico spoil system. Quasi tutti i governi hanno cercato di imprimere il proprio segno. Ora, le competenze saranno trasferite alla direzione delle politiche attive del lavoro del ministero guidato da Marina Calderone. A dirigerla sarà Massimo Temussi, dimessosi dopo dieci mesi con un comunicato su Linkedin. Un passaggio da vigilato a vigilante contrassegnata da un’indagine giudiziaria per altre ragioni che hanno portato a due interrogazioni parlamentari: il 5 ottobre 2023 e il 30 gennaio 2024. In quella con prima firmataria Susanna Camusso è stato denunciato uno «stallo totale». Calderone dovrebbe definire la programmazione della nuova società. Nel frattempo, osserva il sindacato delle Clap ben strutturato nell’azienda, i lavoratori di Anpal Servizi restano con un contratto aziendale scaduto. A febbraio c’è stato un incontro con la neo presidente Paola Nicastro.
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Momentaneamente disagiataIL GOVERNO HA UN’IDEA su come uscire dallo stallo. Nell’atto di indirizzo stilato da Calderone la nuova gestione sarà ispirata alla politica della domanda e a quella dei servizi alle imprese, favorendo la già prevista «collaborazione» tra soggetti pubblici (centri per l’impiego) e privati (le agenzie interinali) e il ricorso agli «incentivi per la «creazione di poli di eccellenza territoriali».
AVERE RIDOTTO drasticamente la platea degli aventi diritto, questo è il risultato dell’azione di Meloni & co., non ha risolto i problemi strutturali. Il peso del fallimento sarà scaricato su chi prende i sussidi, non su chi lo ha prodotto. Continuerà l’equivoco di fondo: le politiche attive sono in crisi non perché le imprese non trovano i lavoratori, ma perché il lavoro che c’è è povero e dequalificato. Ed è quello che toccherebbe a chi è costretto a rivolgersi ai centri per l’impiego. Se solo lo trovassero.
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