Dopo le montagne russe del Senato, alla Camera tutto fila liscio, senza scossoni e suspence. Draghi ripete il suo discorso con pochissime modifiche. Forse indurisce un po’ i toni: esclude di fatto ogni possibilità di cessate il fuoco ma del resto la formula «pace alle condizioni di Zelensky» equivaleva già di fatto a dire «niente pace per ora».
La posizione dell’Italia è cambiata nelle ultime settimane.

Dopo l’allineamento sin troppo disciplinato delle prime settimane, Draghi ha tentato davvero un’offensiva diplomatica a favore della trattativa. Si è risolta in nulla e deriva da questo buco nell’acqua il ritorno del governo di Roma a una posizione molto rigida.

La risoluzione costata 12 ore di rissa sulle singole parolette incassa i suoi 410 voti e la benevola astensione dei 34 FdI. Bocciano il testo appena 29 deputati e c’è qualcosa di surreale in questi terremoti, con tanto di scissione dell’ormai ex primo partito di maggioranza, che si concludono nel nulla assoluto. Come se tra il campo dei posizionamenti neanche più di partito ma personali e quello della politica si fosse interrotta ogni comunicazione. Universi separati.

Draghi, blindato dai fatti e in posizione di forza nei rapporti con i partner europei, si prepara alla ben più difficile partita di Bruxelles. Come d’abitudine, prima della partenza il premier sale al Colle, fa il punto con Mattarella sulla situazione globale ma anche su quella di casa. Il presidente condivide l’agenda illustrata dal premier in Parlamento: sostegno all’ingresso dell’Ucraina nella Ue, impegno dell’Unione nel contrasto alla crisi energetica, in particolare cercando di strappare il Price Cap, il tetto al prezzo del gas.

È un fronte reso ancor più critico dal monito dell’Agenzia internazionale dell’Energia. L’Europa deve prepararsi immediatamente all’eventualità, ritenuta evidentemente probabile, di un taglio completo del gas russo in inverno. Infine Mattarella e Draghi concordano sulla necessità di accelerare il superamento della regola dell’unanimità, che frena ogni iniziativa europea.

Per quanto riguarda l’Ucraina nella Ue Draghi otterrà qualche risultato. I Paesi in lista d’attesa da anni, come l’Albania e la Macedonia del nord, scalpitano e protestano ma le resistenze principali dovrebbero essere state superate, anche perché i tempi dell’ingresso saranno lunghi. Le cose sono meno facili sul fronte dell’energia: verrà fatto certamente un ulteriore passo avanti sulla strada del Price Cap, ma la possibilità che venga varato subito sembra esclusa. La decisione verrà rinviata a settembre e lì le resistenze invece sono ancora forti. L’Energy Fund, sul modello del Recovery, pare per ora lontanissimo.

Quanto all’Italia, il presidente è preoccupatissimo più che per la tenuta del governo per quella di un quadro politico che sembra ormai rispondere solo a una sola logica: la rendita di posizione dei leader. Ora che le pensioni dei parlamentari sono di fatto certe, ogni data può essere quella buona per aprire una crisi mai probabile, sempre possibile. Il momento più delicato coinciderà con il varo della legge di bilancio sulla quale i 5S di Conte, messi ko sulla guerra, meditano di cercare la rivincita.

Il bello è che in mezzo a questa guerra di tutti contro tutti si sta facendo strada la tentazione di una coalizione che somiglia alla disgraziata Unione di Prodi nel 2006 più che al Campo Largo di Letta: tutti dentro per battere la destra, da Renzi a Si passando per entrambi i cocci del M5S e senza escludere spezzoni di Fi. Resterebbe fuori solo Calenda. Lui mira a un centro in grado da solo di condizionare tutti.