La violenta repressione sommata alla eccezionale crisi economica ha diminuito significativamente le manifestazioni contro il regime clericale in Iran. Il potere, apparentemente, non mostra alcun cedimento. Tuttavia, i continui arresti, le severe pene inflitte dai tribunali agli arrestati e le proposte delle leggi ancora più ristrettive mostrano irrequietezza nell’establishment. Eppure, la permanenza dell’obbligo del velo islamico per le donne, riconfermata da una nuova legge, ha vanificato le speranze dei riformisti che speravano in un cambiamento graduale.

Ma l’accanimento dello stato contro le donne, principali protagoniste della rivolta, non si limita al velo. Kazem Delkhosh, portavoce della Commissione di Giustizia del parlamento, ha annunciato l’approvazione di un disegno di legge in base a cui tutte le donne avranno bisogno del permesso del «loro tutore» per lasciare il paese. La notizia, pur se smentita in seguito dalla commissione, ha causato un’ondata di indignazione tra gli attivisti per i diritti delle donne.

Non sono rimasti immuni dall’ira dello stato neanche centinaia di celebrità iraniane che hanno sostenuto le manifestazioni. Per intimidire attrici, attori, registi, musicisti, scrittori, poeti e sportivi che sono scesi nell’arena contro repressione, uccisioni e giudizi sommari, la Commissione parlamentare di Giustizia prepara una nuova legge sulla libertà di espressione che sembra piuttosto un tentativo di imbavagliare le celebrità dissidenti.

Samira Mehri, lei è un’avvocata e attivista per i diritti delle donne, da oltre 20 anni fornisce assistenza gratuita alle donne iraniane e afghane in difficoltà, può aiutarci a capire i motivi dell’inasprimento delle nuove regole?
Le manifestazioni di dissenso in questi mesi hanno scosso il regime. Non si aspettavano un colpo così dalle donne, interpreti del disagio popolare, che erano state ignorate, discriminate e messe al margine. Il regime si è reso conto dell’enorme forza vitale nelle donne in questo paese che può rappresentare un vero pericolo alla sua sopravvivenza. Con queste leggi, se fossero confermate, vorrebbe arginare il pericolo. Condizionare l’espatrio delle donne al consenso del loro tutore (padre, marito, fratello ecc..) ha due significati importanti. Primo, il regime ci dice che non siamo individui completi, non possiamo decidere autonomamente della nostra vita. In secondo luogo, vuole estendere il controllo attraverso i nostri uomini. Gli uomini, in maggioranza, sono portatori del reddito familiare perciò hanno molto più da perdere e perciò sono più condizionabili. Per l’ennesima volta il regime tenta di metterci uno contro l’altro e in questo caso all’interno della famiglia.

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Il divieto di espatrio, però, senza consenso dell’uomo già era in vigore.
Sì, ma fino ad ora, solo le donne sposate e le minori di 18 anni avevano bisogno del consenso del coniuge o dei genitori per lasciare il paese. Ora la legge estende il divieto a tutte le donne, senza distinzione. Nel nostro paese quando una donna si sposa di fatto delega la sua vita legalmente al marito, non è un caso che le convivenze, vietatissime, stiano aumentando vertiginosamente malgrado i rischi sociali e legali che comportano, specialmente per le donne. Ma almeno non c’è il pericolo di essere schiavizzate dal compagno.

Non sono solo le donne prese di mira, sembra che anche la legge sulla libertà di espressione sia in esame.
Sì, una proposta con tante lacune. In sintesi, i legislatori propongono di modificare l’articolo 512 della legge penale contro l’istigazione alla violenza. Per colpire coloro che hanno «una posizione sociale, politica, scientifica, culturale e militare» e si esprimono sui fatti e gli eventi che succedono nel paese prima che l’autorità pronunci una posizione ufficiale. Anche se le notizie trattate fossero vere, ma differiscono dalla narrazione della autorità. Questi commenti, a parere degli autori della proposta, potrebbero «turbare l’ordine pubblico, generare insicurezza o cagionare danni alle persone o ai beni». Pene previste, carcere da 10 a 15 anni, multe pesanti, privazione dei diritti sociali e interdizione dal lavoro e dalla professione per un periodo da 5 a 10 anni. Musa Ghazanfarabadi, (capo della Commissione Giustizia del parlamento, ndr) ha portato ad esempio il caso della morte di Mahsa Amini: non può essere discusso finché non ci sarà una posizione ufficiale definitiva. E anche dopo tutti devono adeguarsi alla posizione ufficiale.

In Iran, già oggi, è molto difficile criticare il potere governante, quali sono le ragioni per un irrigidimento cosi severo?
Credo che il potere abbia timore della potenza di internet e dei social. Una censura totale è impossibile, però possono versare una marea di informazioni false e vere per far disorientare l’utente. Ma quando una notizia viene commentata da una persona conosciuta e influente, ecco che diventa una realtà accettabile dall’utente. Abbiamo visto quanto siano stati importanti i racconti e la presa di posizione delle celebrità nel paese attraverso i social media. Hanno avuto un’enorme risonanza tra la popolazione e hanno incoraggiato i manifestanti. Ecco perché diventa importante reprimere questo tipo di voci. Non solo, se passa la proposta così come è, nessun giornalista potrebbe esprimersi prima che le autorità esprimano una posizione ufficiale, a cui dovrebbe poi allinearsi. Il messaggio è chiaro: non disturbarti a pensare, ti diremo noi cosa dire.