Torniamo a occuparci delle proteste degli insegnanti ungheresi per dare spazio alle denunce riguardanti i mezzi usati dalla polizia in diverse occasioni al fine di reprimere le dimostrazioni di piazza. Denunce fatte dagli stessi manifestanti che, a quanto risulta, danno vita a iniziative pacifiche volte a esprimere il disagio della scuola.

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La situazione degli insegnanti ungheresi è estremamente critica dai punti di vista del trattamento economico e delle condizioni in cui si svolge il loro lavoro. Si parla di stipendi di 800-900 euro mensili per docenti che hanno diversi decenni di servizio e di buste paga di 500 euro per quanti iniziano questa attività. Si tratta degli stipendi più bassi corrisposti nell’Unione europea. Gli insegnanti, poi, sopportano sempre meno le chiare ingerenze del governo che intendono farli diventare strumenti di propaganda. Ingerenze e attività di controllo su di essi da parte di un sistema di potere che si è da subito impegnato a dirigere i vari settori della vita pubblica. Non poteva mancare quello della scuola che forma i cittadini. Il governo è nemico dello spirito critico e del pensiero libero e pretende che gli insegnanti lo scoraggino anche attraverso l’uso di testi, ad esempio quelli di storia, scritti da autori e pubblicati da case editrici graditi al potere. Libri impregnati di nazionalismo e sciovinismo.

Il risultato di tutto questo è, come già precisato la settimana scorsa che oggi, in Ungheria, quella dell’insegnante risulta essere una professione poco ambita, tanto che mancano docenti. Il governo cerca di ovviare a questa situazione ricorrendo a supplenze numerose e tenta di promuovere corsi accelerati di specializzazione rivolti anche a non laureati, sperando di colmare i vuoti.

A fronte di chi concorda con la linea politica del governo e a fronte degli apatici, c’è però un’Ungheria che reagisce a questo stato di cose e manifesta. Insegnanti, studenti e genitori si trovano così fianco a fianco a esprimere una protesta che è naturale conseguenza di questo disagio, almeno laddove esistono ancora passione civile e coscienza critica. “Senza scuola non c’è futuro” è lo slogan dei dimostranti. Sfilano così giovani e meno giovani, studenti di 15-17 anni che chiedono una scuola di qualità, dove ci si confronti, liberi da condizionamenti e pressioni politiche.

Proteste pacifiche, si diceva, non altrettanto può dirsi del comportamento della polizia che finora ha spesse volte reagito con lacrimogeni, spray urticanti, botte e maltrattamenti. Questo, secondo le denunce fatte dai dimostranti e da quanti sostengono le loro ragioni. Le testimonianze parlano di gente trattenuta nei commissariati, come accaduto di recente a un diciassettenne che partecipava a una di queste manifestazioni. Secondo quanto è dato sapere, al ragazzo sarebbe stato spruzzato negli occhi dello spray urticante per ben due volte. Si è quindi appoggiato a un lampione per il violento bruciore. Incapace di muoversi è stato trascinato via dagli agenti e portato in commissariato dove i genitori l’hanno potuto incontrare alle quattro del mattino per riportarlo a casa dopo lunghe ore di attesa.

Lui e gli altri manifestanti avevano trovato ad attenderli un nutrito cordone di forze di polizia in tenuta antisommossa pronto a intervenire, come in effetti è accaduto.

Gli organi di stampa governativi li descrive come teppisti, per il primo ministro Viktor Orbán sono invece  come “contagiati da un’arma biologica creata nei laboratori liberali e progressisti”. A suo avviso sono come aggrediti da un virus che costituisce una minaccia per la nazione, per il concetto stesso di nazione. È noto che per i fedelissimi del premier, liberali e progressisti non concepiscono interessi nazionali ma inseguono un cosmopolitismo estraneo alla più genuina tradizione ungherese. Che significa? La domanda è lecita quando si pensa a quella parte di popolazione che reagisce con la protesta alle politiche del governo. Sarebbe interessante chiedere a loro cosa si intenda per genuina tradizione nazionale. Ma è chiaro che per l’esecutivo questa parte della popolazione non è costituita da veri ungheresi. Non da patrioti ma da boicottatori e/o da gente colpita da virus venuti da fuori per mettere a repentaglio la sopravvivenza della nazione ungherese. Ed ecco che il governo è pronto a dispensare vaccini e anticorpi contro queste “epidemie”, e botte da parte della polizia, ma sempre a fin di bene. Mala tempora currunt.