Il principale consigliere politico di Orbán nella bufera. C’è di mezzo l’Ucraina
Visegrad e oltre La rubrica settimanale sui sovranismi delll'est Europa. A cura di Massimo Congiu
Visegrad e oltre La rubrica settimanale sui sovranismi delll'est Europa. A cura di Massimo Congiu
L’ormai lunga storia del contrasto tra Bruxelles e il governo ungherese guidato da Viktor Orbán si arricchisce sempre di nuovi spunti anche se, nella maggior parte dei casi, i temi di scontro restano gli stessi, almeno per ora.
La nuova pietra dello scandalo è una dichiarazione di Balázs Orbán, principale consigliere politico del premier, suo omonimo, anche se fra i due non risulta esserci alcun legame di parentela, a parte quella politica. Riferendosi al conflitto russo-ucraino, Orbán consigliere avrebbe affermato che sì, “ogni paese ha il diritto di decidere del suo destino da solo, ma forti dell’esperienza del 1956 non avremmo fatto come il presidente Zelensky due anni e mezzo fa perché è irresponsabile”.
Questa frase non è piaciuta a Bruxelles e dintorni secondo cui Orbán, sempre il consigliere, ha lasciato intendere che se l’Ungheria si fosse trovata al posto dell’Ucraina si sarebbe lasciata invadere senza opporre resistenza.
L’affermazione non è piaciuta in ambiente Ue, si diceva, ma neanche a quella parte di Ungheria che non si riconosce nelle posizioni del premier. Così l’opposizione ha chiesto le dimissioni del consigliere del primo ministro, in quanto viste come ulteriore testimonianza del carattere filo-russo dell’attuale esecutivo e della sempre maggiore distanza di quest’ultimo dalla strada seguita dall’Ue.
Per Balázs Orbán “le preziose vite ungheresi” devono essere rispettate e tutelate, e non vanno mandate allo sbaraglio in una guerra che secondo il governo danubiano non riguarda il Paese. Fonti giornalistiche interne riferiscono che l’interessato ha svolto un ruolo determinante nella delineazione di buona parte della politica interna ed estera seguita dall’Ungheria del suo più celebre omonimo. E sul piano delle relazioni internazionali si sarebbe impegnato a saldare l’amicizia con certi settori del Partito Repubblicano USA in linea con Donald Trump. Vi è da ricordare che nel 2016 il governo Orbán fu solerte nel complimentarsi con il tycoon per la sua elezione alla presidenza; cosa, quest’ultima, che per il premier ungherese confermava la validità della strada da lui intrapresa e indicata. Come dire, se la maggiore potenza mondiale si è messa nelle mani di un acerrimo nemico delle menzogne liberali e del politically correct, proprio come noi dall’inizio, significa che abbiamo visto giusto e che abbiamo fatto da apripista nella direzione corretta.
Come si anticipava, le esternazioni di Orbán consigliere hanno provocato reazioni in patria non solo per l’ennesima prova di amicizia del governo col sistema di potere di Putin, ma anche per aver offeso la memoria dell’insurrezione popolare del 1956 e dei suoi morti. In un post sui social Péter Magyar, capo del maggior partito di opposizione, ha scritto che la dichiarazione “ha umiliato la memoria di migliaia di combattenti ungheresi per la libertà, centinaia dei quali, a differenza di Balázs Orbán, erano disposti a sacrificare la loro vita per la libertà e l’indipendenza del loro paese”.
Magyar ha così chiesto le dimissioni del consigliere politico. Dimissioni da presentare entro il 23 ottobre prossimo, sessantottesimo anniversario dell’insurrezione.
Dopo queste reazioni il consigliere ha detto che il senso delle sue parole è stato distorto, e ha accusato la “propaganda favorevole alla guerra” di aver cercato di trascinare l’Ungheria nel conflitto tuttora in atto in Ucraina. Il medesimo ha quindi speso parole di elogio per i combattenti ungheresi del 1956, definendoli eroi nazionali e precisando che la loro memoria è sacra e inviolabile.
Vale la pena di ripeterlo: i due Orbán e soprattutto ciò che rappresentano, non sono un modello da seguire se si hanno a cuore democrazia, rispetto della diversità, salvaguardia dei diritti civili fondamentali, e la lista potrebbe continuare. Magari la loro posizione rispetto alla guerra in Ucraina non è dovuta ad amore per la pace (ricordiamoci che l’Ungheria ha votato a sfavore della fine dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi) ma piuttosto a interessi interni e nazionali non condivisi, peraltro, da numerosi loro connazionali. Fermo restando tutto questo, vale anche la pena di ricordare che l’Ue e la Nato non mostrano interesse a trovare una mediazione diplomatica che ponga fine a questo conflitto. Questo va ricordato e sottolineato.
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