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Dalla Cina all’Africa, la diplomazia dei non allineati

Dalla Cina all’Africa, la diplomazia dei non allineatiIl cardinale Zuppi a Kiev con Zelensky – Ap

Guerra ucraina Tutti i piani di pace alternativi sono falliti. E si resta in attesa di un piano unico. Istituzioni europee non pervenute, l’unica spinta arriva dalle società civili

Pubblicato più di un anno faEdizione del 22 giugno 2023

Si può ancora fermare il flagello – globale – della guerra in Ucraina? E per un cessate il fuoco e un cammino verso la pace, ha qualche chance la diplomazia dei non allineati? Magari unitaria: il ministero degli esteri cinese ha apprezzato la missione di sette paesi africani a Kiev e Mosca, «perché dialogo e negoziati sono l’unica via possibile; la guerra e le sanzioni non risolvono i problemi».

Il piano dei paesi africani (colpiti dalla crisi) per favorire un pace durevole prevede dieci punti: mutuo ascolto, negoziato, de-escalation reciproca, «sovranità dei paesi nei termini della Carta dell’Onu», garanzia della sicurezza di tutti i paesi coinvolti e del transito delle derrate nel mar Nero, sforzi umanitari, scambio di prigionieri. «Nel nostro continente gestiamo tanti conflitti e alcuni li risolviamo: con il dialogo», ha scritto il presidente dell’Unione africana, Azali Assoumani.

MA L’UCRAINA vuole in primis il ritiro totale dei russi, mentre la Russia rivendica il diritto di sostenere i cittadini russofoni che rifiutavano il nuovo regime post-golpe del 2014 e poi di riconoscerli come entità indipendenti e difenderli sulla base dell’articolo 51 della Carta dell’Onu (diritto di autodifesa), una volta falliti i metodi pacifici. Rimane anche la questione della neutralità del paese, ora armatissimo.

Altri paesi non occidentali hanno via via avanzato proposte dopo che, tra fine febbraio e fine marzo 2022, erano evaporati – anche per ingerenze esterne – sia i colloqui intermedi tra Ucraina e Russia nella foresta primaria bielorussa, sia la bozza di accordo frutto dei negoziati di fine marzo 2022 a Istanbul. In cambio del ritiro militare di Mosca dalla regione di Kiev, prevedeva il disarmo, la neutralità e assicurazione formale di non ingresso nella Nato; la Crimea restava alla Russia, per il Donbass uno status autonomo sul modello degli accordi Minsk.

La Cina ha diffuso (febbraio 2023) una «posizione per una soluzione pacifica» in dodici punti, che non propone una esatta spartizione territoriale tra Mosca e Kiev ma intende facilitare il dialogo. Ecco i punti: rispetto della sovranità di tutti i paesi e niente doppi standard; abbandono della mentalità da guerra fredda; cessazione delle ostilità; ripresa dei colloqui di pace; soluzione della crisi umanitaria; protezione dei civili, scambio dei prigionieri, riduzione dei rischi legati al nucleare; accordo sul grano; stop alle sanzioni unilaterali; mantenimento delle catene di approvvigionamento; ricostruzione. Non chiedendo il ritiro dei russi, è stata ritenuta inaccettabile.

E poi c’è il Brasile: un gruppo di pace di paesi neutrali, di peso e non coinvolti nella guerra (tra gli asiatici, Cina, India e Indonesia), «per parlare con Russia e Ucraina ma anche con Stati uniti e Unione europea» è stata mesi fa la proposta del presidente Lula, poi ribadita con l’omologo cinese. Ha anche invitato chi fornisce armi a smettere.

E APPUNTO l’Indonesia: già nel 2022 il presidente Joko Widodo, all’epoca alla guida del G20, in visita a Mosca e Kiev si era offerto mediatore. Il suo ministro della difesa Prabowo Subianto lo ha reiterato agli inizi di giugno al vertice Shangri-La Dialogue a Singapore. Cessate il fuoco. Istituzione di una zona demilitarizzata di 15 km osservata e monitorata da forze Onu. Referendum gestito dall’Onu per «verificare con obiettività i desideri della maggioranza degli abitanti delle varie aree contese».

Subito attaccato, il ministro ha spiegato di non voler equiparare aggressori e aggrediti ma di voler fare una proposta di pace. «La storia insegna che ci vuole un compromesso». Infine, il Vaticano, altro tessitore. Ma le due posizioni sono arroccate.

È possibile ipotizzare che almeno qualche paese forte dell’Ue crei un asse con la Cina e il Sud globale, così da esercitare pressione su Kiev? I governi Nato inviano armi parlando di pace giusta che non sia una resa, ma così di fatto fomentano la guerra. E vogliono l’Ucraina nella Nato. E gli stati europei neutrali? Il governo svizzero l’anno scorso aveva avviato contatti riservati con le due parti: nulla di fatto.

IL 2 GIUGNO la Camera bassa del parlamento ha votato contro la ri-esportazione di armi elvetiche all’Ucraina da parte di paesi terzi; la Camera alta il 7 giugno l’ha permessa ma il cammino rimane lungo e contestato. L’Austria rimane fuori dalla Nato e non è coinvolta nell’invio di armi: anzi, il suo status di «neutralità perpetua» (1955) era inizialmente guardato da alcuni come un’ispirazione possibile per fermare il conflitto.

La società civile occidentale invita i leader di tutti i paesi ad agire a sostegno del cessate il fuoco e dei negoziati, mentre le istituzioni create per garantire pace e sicurezza in Europa hanno fallito. Dal canto suo l’associazione italiana Peacelink ha scritto una lettera a diverse ambasciate di paesi non coinvolti nella guerra: al loro attivismo auspicabilmente unitario si «affida», visto che la Nato incoraggia la guerra. E in Italia due comitati raccolgono le firme per un referendum contro l’invio di armi a Kiev.

Yurii Sheliazensko, obiettore di coscienza in Ucraina, suggerisce, per contrastare la «negazione della pace», anche la strada della riconciliazione popolare. Quanto alle dispute territoriali, offre l’orizzonte della «sovranità condivisa in un mondo senza confini».

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