Lula: «Voglio un G-20 per la pace» Ma Washington chiede armi ai vicini
Il limite ignoto Dopo l'incontro fra il presidente brasiliano e quello Usa. La proposta: paesi neutrali con le carte in regola per provare a negoziare la fine delle ostilità
Il limite ignoto Dopo l'incontro fra il presidente brasiliano e quello Usa. La proposta: paesi neutrali con le carte in regola per provare a negoziare la fine delle ostilità
Le divergenze sulla guerra in Ucraina non sono bastate a compromettere il rilancio delle relazioni tra Brasile e Usa a cui Lula mirava con la sua visita a Washington. Ma anche se il suo incontro con Biden è stato un successo, quelle divergenze restano tutte: al suo omologo statunitense Lula ha detto no, chiaro e forte, a qualunque coinvolgimento, esattamente come lo aveva detto prima a Macron e poi a Scholz riguardo alla fornitura di munizioni per i carri armati all’Ucraina.
IL RUOLO che vuole per il suo paese è infatti tutt’altro: quello cioè legato alla creazione – come ha ribadito nell’intervista concessa alla corrispondente della Globo a Washington Raquel Krähenbühl – di «una sorta di G20 per la pace»: un gruppo di paesi neutrali con le carte in regola per provare a convincere sia Putin che Zelensky a fermare la guerra (non senza riconoscere l’«errore» commesso dal primo nell’invadere l’Ucraina). «Il Brasile è in grado di farlo», ha evidenziato Lula, e così il Messico, l’Indonesia, la Cina, l’India: «Possiamo trovare una soluzione per pacificare il mondo».
Del resto, di fronte al rischio che la guerra si prolunghi chissà quanto, «ci deve essere un argomento per convincere Putin a fermarla», ha proseguito Lula, confidando di aver proposto a Biden un’iniziativa in tal senso dal parte del suo governo, in linea con quanto il Brasile aveva fatto con gli Usa al tempo della guerra in Iraq e con l’Iran sulla questione dell’uranio arricchito. Si tratterebbe, insomma, di «mettere in pratica» questa esperienza per trovare una soluzione. E se sulla reazione di Biden Lula non ha voluto ovviamente dire nulla, si è detto fiducioso «che egli abbia compreso» il suo messaggio: «Vedremo cosa succederà ora».
CHE BIDEN abbia compreso o meno, la sua amministrazione sembra, al contrario, non risparmiare sforzi per coinvolgere anche l’America latina nel conflitto. Così almeno ha indicato Laura Richardson, capo del Comando sud degli Stati uniti, rivelando, durante un evento del think tank Atlantic Council a metà gennaio, come Washington avesse chiesto a sei paesi latinoamericani (Argentina, Brasile, Colombia, Ecuador, Messico e Perù) di donare all’Ucraina l’equipaggiamento militare acquistato dalla Russia – perché è quello che i soldati ucraini conoscono meglio – e di sostituirlo con quello statunitense.
La risposta, però, non è stata certo quella attesa. «Nella nostra Costituzione la parola d’ordine sul terreno internazionale è la pace», ha reagito Gustavo Petro il 25 gennaio, parlando della risposta data a Richardson durante la sua visita in Colombia lo scorso settembre: che, cioè, non avrebbe permesso che le armi acquistate dalla Russia finissero in Ucraina «a prolungare la guerra».
E ugualmente netto era stato, lo stesso giorno, il presidente messicano López Obrador, il quale aveva anzi criticato la decisione della Germania di inviare in Ucraina i carri armati Leopard 2. Il massimo che aveva ottenuto Washington era stato, alla fine, il silenzio dell’Ecuador e del Perù.
PARLANDO all’Atlantic Council, il capo del Comando sud aveva detto però anche molto altro: indicando la Cina (principale socio commerciale di Argentina, Brasile, Cile e Perú) e la Russia come le grandi rivali degli Stati uniti in America latina, Richardson aveva elencato senza giri di parole tutte le ragioni della fondamentale importanza rivestita dalla regione per la «sicurezza nazionale» Usa: il litio, il petrolio, le terre rare, l’Amazzonia e le riserve di acqua dolce. «Dobbiamo iniziare il nostro gioco», aveva concluso in maniera decisamente bizzarra, considerando da quanto tempo questo «gioco» sia cominciato.
LA PARTITA di Richardson, in ogni caso, coinvolge anche il Perù, dove l’ambasciatrice Lisa Kenna, dopo essersi incontrata – strana coincidenza – con il ministro della Difesa Gustavo Bobbio Rosas proprio il giorno prima della destituzione di Castillo, ha subito offerto il massimo sostegno alla presidente «traditrice» Boluarte. Con un duplice obiettivo: ostacolare gli investimenti cinesi nel paese (pari a 30 miliardi di dollari) e ottenere il rinnovo, alle migliori condizioni, delle concessioni minerarie a imprese come Cerro Verde e Southern Copper Corporation, in scadenza proprio quest’anno.
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