Il Senegal alle urne, Faye spera in una buona pesca
Legislative e saccheggio del mare Sulle elezioni in programma oggi, un test cruciale per il neo-presidente, pesano le sorti di un settore che vale il 3% del Pil. Alla mezzanotte scade l'accordo sullo sfruttamento delle risorse ittiche che l'Ue sarebbe orientata a non rinnovare per il rischio "illegalità". Ma le navi industriali europee sono il problema, non la soluzione.
Legislative e saccheggio del mare Sulle elezioni in programma oggi, un test cruciale per il neo-presidente, pesano le sorti di un settore che vale il 3% del Pil. Alla mezzanotte scade l'accordo sullo sfruttamento delle risorse ittiche che l'Ue sarebbe orientata a non rinnovare per il rischio "illegalità". Ma le navi industriali europee sono il problema, non la soluzione.
Venerdì il ministro senegalese dell’Istruzione superiore, della Ricerca e dell’Innovazione, El Hadji Abdourahmane Diouf, ha accusato l’Unione europea di mentire sulla cessazione dell’accordo di pesca, che scade alla mezzanotte di oggi, giorno delle elezioni legislative in Senegal. Un voto, in cui il tema della pesca occupa un posto di rilievo, che rappresenta una prova cruciale per il neoeletto presidente Bassirou Diomaye Faye e per il suo partito, il Pastef (acronimo di Patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fraternità).
Martedì scorso, l’Ue ha annunciato, tramite il proprio ambasciatore a Dakar, Jean-Marc Pisani, che l’accordo di pesca firmato nel 2019 tra Ue e Senegal, che consente ai pescherecci europei di operare nelle acque senegalesi, non sarebbe stato rinnovato a causa di «preoccupazioni» legate ad attività illegali.
LA QUESTIONE ha una portata nazionale: la pesca contribuisce per oltre il 3% al Pil del Senegal, impiegando direttamente più di 50mila lavoratori e creando oltre mezzo milione di impieghi indiretti nel settore formale, nonostante i redditi mediamente molto bassi. Inoltre, il 43% dell’apporto proteico nella dieta senegalese proviene dai prodotti ittici. La crisi era nell’aria: il 27 maggio, la Commissione Ue aveva pre-identificato il Senegal come «Paese non cooperante» nella lotta alla pesca illegale.
In Senegal, la questione ha immediatamente acceso il dibattito politico, arroventando l’ultima settimana di campagna elettorale prima delle legislative, elezioni anticipate a causa dell’impossibilità di procedere con i lavori parlamentari. Il nuovo governo, nominato a marzo dopo le presidenziali, intende rinegoziare tutti i contratti nei settori strategici. La ministra della Pesca, Fatou Diouf, ha annunciato una conferenza stampa per illustrare le strategie del governo volte a promuovere una gestione più sostenibile delle risorse ittiche, privilegiando al contempo «gli interessi nazionali» con maggiore trasparenza e benefici per l’economia locale.
Secondo la Commissione Ue, negli ultimi cinque anni il partenariato nel settore della pesca ha contribuito con 8,5 milioni di euro al bilancio senegalese, oltre alle royalties pagate dagli armatori europei al governo di Dakar. Tuttavia, la Fao stima che la pesca illegale provochi perdite superiori a 2 miliardi di euro l’anno per gli Stati costieri africani del Golfo di Guinea.
LE NAVI INDUSTRIALI, enormi e altamente efficienti, sono capaci di catturare fino a 300 volte il pesce che una piroga artigianale può pescare in un anno. Ciò ha reso le piroghe inutilizzabili per il lavoro e fondamentali per la migrazione: molte imbarcazioni usate dai migranti che partono dalle coste senegalesi erano un tempo destinate alla pesca. Questo ha innescato un fenomeno nuovo, con le autorità marittime europee che intercettano tali imbarcazioni per bloccare le partenze verso le Isole Canarie, territorio spagnolo.
L’AMBASCIATORE PISANI, nel suo annuncio, non ha fatto riferimento ad altre criticità. Sebbene ci siano lacune nella gestione senegalese delle risorse ittiche, è innegabile che molti illeciti siano attribuibili agli armatori europei. Alcune imbarcazioni europee sono state registrate come senegalesi tramite operazioni di “reflagging”. Inoltre, la pesca al nasello è criticata per il sovrasfruttamento delle risorse, sollevando dubbi sulla sostenibilità delle flotte industriali rispetto alla pesca artigianale locale. L’impatto ambientale e sociale della pesca intensiva europea nelle acque senegalesi, pur non menzionato dall’ambasciatore europeo, è al centro del dibattito politico nazionale, particolarmente acceso in vista delle elezioni.
Un esempio significativo riguarda la filiera del polpo: pescato dai pescherecci Ue in Sierra Leone, paese i cui standard sanitari non rispettano i requisiti europei, il polpo viene trasportato in Senegal, che diventa l’esportatore ufficiale. Un “gioco delle tre carte” gestito dagli armatori e dalla grande distribuzione europea. E l’Italia, seconda maggiore acquirente di polpo africano dopo la Spagna, è stata più volte richiamata dall’Ue per carenze nei sistemi di sorveglianza.
IL NUOVO GOVERNO del Senegal, definito «di rottura», intende riconsiderare tutti gli accordi di pesca. Oltre a rivendicare una maggiore trasparenza, propone la «sovranità sulle risorse» come chiave per bilanciare gli interessi economici con la sostenibilità ambientale e la protezione delle comunità locali. Resta da vedere se Dakar sarà in grado di affrontare efficacemente questa sfida, considerato che, oltre ai pescherecci europei, un problema ancora più grave è rappresentato dalle flotte cinesi, vincolate a regole ancora meno stringenti.
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