Dai diritti al Green deal, la relazione burrascosa tra Varsavia e Bruxelles
Polonia al voto Eppure il Paese ha bisogno dei Fondi di coesione Ue che rappresentano il 2% del Pil
Polonia al voto Eppure il Paese ha bisogno dei Fondi di coesione Ue che rappresentano il 2% del Pil
La Ue si prepara ad affrontare l’instabilità della Polonia, il quinto paese del blocco per numero di abitanti, che va al voto oggi con sondaggi incerti: il Pis al potere dal 2015 dovrebbe arrivare in testa, ma senza possibilità di formare un governo da solo e ha di fronte l’alleanza con la reticente Confederazione di estrema destra, mentre la Coalizione civica (data al 30%) potrebbe riunire le opposizioni in un governo dall’esito incerto, aprendo la strada a elezioni anticipate nel 2024, anno che ha già in programma le europee a giugno (e per i polacchi le presidenziali nel 2025).
Il Pis ha accentuato nella campagna il già conflittuale rapporto con la Ue, per meglio combattere il leader della Coalizione civica, il molto moderato ex presidente del Consiglio Ue Donald Tusk (ed ex primo ministro). Dal 2016, la Ue ha avviato varie procedure di infrazione contro Varsavia secondo l’art.7 dei Trattati, per non rispetto dello stato di diritto, l’indipendenza della giustizia, la libertà di stampa, i diritti Lgbt. La Polonia (con l’Ungheria) ha dovuto attendere per vedere sbloccati i versamenti del Piano di rilancio, condizionati al rispetto dei valori Ue. Con la guerra in Ucraina, Varsavia ha però saputo trarre vantaggio dalla chiara posizione anti-russa (anche se l’appoggio a Kiyv ultimamente si è incrinato a causa della concorrenza sui cereali e per la presenza di rifugiati).
Nel caso di un terzo governo del Pis, la Ue si aspetta una continuità del braccio di ferro con Varsavia nelle discussioni sull’integrazione europea. Per non parlare dell’immigrazione, un rigetto condiviso anche da Tusk (anche se non da tutti i suoi potenziali alleati): nel referendum sull’immigrazione in contemporanea alle legislative, la domanda fa riferimento a «migliaia di illegali da Medioriente e Africa», secondo l’accordo promosso «dalla burocrazia europea». La Polonia, con l’Ungheria, ha votato contro il Patto Asilo Migrazione. Lo scandalo dei visti – soldi in cambio di lasciapassare Ue – non sembra avere effetto sugli elettori, sommersi da un’informazione sotto controllo: non solo la tv di stato, ma anche i giornali regionali nelle mani di amici del Pis diffondono propaganda pro-governo.
Il Pis nella campagna ha preso di mira la Germania, a cui chiede dei conti (e dei soldi) per la seconda guerra mondiale, accusando Tusk di essere un «funzionario» di Berlino e di Bruxelles (e «ingenuo» con la Russia). Ma il Pis ha saputo anche manovrare con Bruxelles: il commissario all’Agricoltura, Janusz Wojciechwski, è polacco e ha ottenuto per Varsavia una buona fetta dei contributi per far fronte alla concorrenza dei cereali ucraini. Jarosław Kaczynski, leader del Pis, si vanta di aver fatto crescere il reddito dei polacchi, ormai pari all’80% della media Ue, superiore a Grecia e Portogallo, senza citare i Fondi di coesione che rappresentano il 2% del pil polacco. Tutti i partiti corteggiano gli agricoltori, il Pis ha accelerato i finanziamenti e moltiplicato i picnic in campagna pagati dai contribuenti, ma anche Tusk si è fatto fotografare davanti a un campo di cavoli con il leader di AfriUnia, un possibile alleato.
Il Pis continuerà a battagliare contro il Green Deal. La Polonia ha sporto denuncia alla Corte di Giustizia europea contro 6 leggi del Patto verde, tra cui la fine dei motori termici nel 2035 e la riforma del mercato del carbone.
L’elettricità polacca dipende ancora al 70% dal carbone e i minatori della Slesia sono un importante bacino di voti. L’uscita dal carbone è programmata per il 2049, mentre la Coalizione civica si è impegnata ad anticipare al 2035.
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