Le donne polacche tornano davanti alle transenne del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco per dire sì, o meglio «tak» in polacco, all’aborto. Ancora una volta hanno urlato più forte dei manifestanti «pro-life» protagonisti dell’ennesima contromanifestazione. A scatenare le proteste la bocciatura il 12 luglio scorso, per appena quattro voti, di una legge sulla decriminalizzazione dell’aborto. Una manifestazione indetta non a caso nell’ultima settimana prima della pausa agostana del Sejm che riprenderà i lavori a settembre. Con un sole che non batte forte e in assenza di pioggia, ieri a Varsavia non sono serviti gli ombrelli scuri aperti dalle polacche nere il 3 ottobre 2016 in tutto il Paese in occasione di quel «lunedì nero» che era servito a respingere l’introduzione del divieto assoluto di aborto (ogni riferimento al crollo borsistico del Black Monday nel 1987 è davvero casuale). Con il senno di poi si è trattata di una vittoria di Pirro per chi è a favore del diritto di scelta in Polonia. In seguito sarebbe arrivata una batosta per le polacche: la messa al bando dell’aborto terapeutico sancita da una sentenza del Tribunale costituzionale del 22 ottobre 2020, organo tutt’oggi controllato dalla destra populista di Diritto e giustizia (Pis) allora anche al governo.

Quella di ieri può essere considerata la prima manifestazione significativa contro le restrizioni del diritto all’aborto da quando si è insediato il secondo governo nella storia del Paese sulla Vistola ad essere guidato dal liberale Donald Tusk di Piattaforma civica (Po). E’ vero, la liberalizzazione dell’aborto non era tra i punti dell’accordo di coalizione siglato da Tusk insieme ai centristi di Trzecia droga (Terza via) e Lewica (Sinistra), dopo aver mandato a casa il Pis alle parlamentari dello scorso ottobre. Ciò nonostante, Po e soprattutto Lewica avevano promesso di impegnarsi in tale direzione davanti al proprio elettorato. Nei primi mesi del 2024 l’aborto è rimasto un argomento tabù per Tusk e i suoi alleati nonostante circolassero già ad aprile almeno quattro disegni di legge a ridosso delle ultime elezioni amministrative. Lo speaker del Sejm, Szymon Hołownia, leader di Polska 2050 (Polonia 2050) – una delle due anime dell’alleanza centrista in cui gravitano anche i ruralisti democristiani del Psl (Partito popolare polacco) – era riuscito a rinviare ogni decisione a dopo le Europee per evitare che i disaccordi interni alla coalizione venissero a galla prima dell’ultima tornata elettorale. Poi due settimane fa è accaduto l’inevitabile, con la mancata approvazione del disegno di legge presentato da Lewica per tutelare almeno fino alla 12ma settimana di gravidanza, non soltanto chi ne esegue l’interruzione ma anche chi soltanto favorisca un aborto. Allo stato attuale quest’ultimo viene considerato un reato punibile fino a tre anni di carcere. Tra i «complici di reato» illustri anche l’attivista Justyna Wydrzyńska dell’Abortion Dream Team (Adt) condannata nel marzo 2023 ai servizi sociali per aver fornito una pillola abortiva ad una donna, confiscata poi dalla polizia, grazie alla soffiata del partner contrario all’aborto.

Tra le sigle promotrici della protesta, oltre all’Adt, anche Federa e la sezione varsaviana dello «Sciopero nazionale delle donne» (Osk). A silurare il recente provvedimento alla camera la maggioranza dei deputati del Psl sui quali Tusk non può esercitare un diretto controllo. E’ troppo presto per esprimere un giudizio definitivo ma il governo dell’ex presidente del Consiglio europeo ha sempre di più il retrogusto delle promesse non mantenute, almeno agli occhi di una parte dell’opinione pubblica.