Ha impersonato la coscienza più profonda e militante del cinema polacco Jerzy Stuhr, attore e regista scomparso ieri a Cracovia dove era nato nel 1947, una intensa carriera tra cinema e teatro, conosciuto e amato anche in Italia per aver interpretato i film di Nanni Moretti Il caimano, Habemus Papam, Il sol dell’avvenire, nell’età più avanzata, imponente nella sua autorevolezza sfaccettata a ben rappresentare le alte sfere, dopo essere stato l’uomo comune afflitto dai problemi più svariati nella Polonia socialista.

Ci piace ricordarlo soprattutto per aver partecipato a un’epoca indimenticabile di nuovo cinema polacco: dopo quella della cosiddetta «terza generazione» che aveva portato Wajda e Zanussi a raccontare la trasformazione del paese nel dopoguerra, nei risvolti più sottili, ma anche ricchi di riferimenti storici e letterari, il cinema con la «quarta generazione» diventa in Polonia un’arma di dissenso e trasforma le sale cinematografiche in assemblee permanenti dove i film mostreranno con stile allusivo ma perfettamente chiaro per il pubblico tutte le pieghe oscure del regime, ciò di cui non si deve parlare.

Jerzy Stuhr rappresenterà in questi film l’uomo comune, con una vena di particolare ironia che lo contraddistingue e parteciperà anche ai film degli autori più censurati come Antony Krauze (Strach, 1975), o con l’apripista Agniewska Holland (il celebre Attori di provincia), con i film satirici campioni di incassi mai visti prima in Polonia sullo schermo come quelli di Juliusz Machulski, dove si arrivava a mostrare (Kingsaiz), incredibilmente, una società sottomessa e tenuta all’oscuro, che bastava sollevasse la cupola per rivedere il cielo, la realtà.

MA SOPRATTUTTO è stata la collaborazione con Kieslowski ad avergli dato uno spessore, un’intensità inedita («Mi ha insegnato a svelarmi» diceva) e lo ha fatto conoscere internazionalmente, fin da quando con Amator (Il Cineamatore) il regista passò più decisamente dal documentario al cinema di finzione, una delle prime ricognizioni implacabili della società polacca, pur nella semplicità di un personaggio che scopre la passione per il cinema e inizia a riprendere tutto con il superotto, film non indolore nei confronti di ciò che riprende, di tipico umorismo nero.

Kieslowski era qui al suo secondo film dopo aver esordito con La cicatrice dove metteva in scena un uomo di partito per niente d’accordo con i vertici a proposito della costruzione di un’industria chimica (Stuhr interpretava il vigile assistente).

In Decalogo 10 «Non desiderare la roba d’altri», in coppia con Zbigniew Zamachowski sperimenterà la vanità dei beni terreni e sarà anche in Tre colori Film bianco. Zanussi lo chiamerà a interpretare Da un paese lontano. Giovanni Paolo II, L’anno del sole quieto, Persona non grata, Maximilian Kolbe.

Ma è già l’epoca in cui Stuhr esordisce nella regia «non per desiderio narcisistico – diceva – ma come destino» con L’elenco delle amanti (1995) e Historie milosne (1997, Storie d’amore premio della Giuria a Venezia e premio FIPRESCI), Sette giorni nella vita di un uomo (1999) per citare solo quelli distribuiti in Italia.

Contemporaneamente firma regie teatrali diventate famose come Il contrabbasso di Patrick Susskind (1985), recita in polacco, italiano e inglese, mette in scena Shakespeare, Molière, Mrozek.

E in Italia dove ha risieduto a lungo, ha collaborato con la Scuola di teatro di Bologna, con il Teatro stabile di Trieste, con l’Università degli studi di Palermo e con il Festival degli attori di Firenze.