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«Phobia», la violenza lavorata a maglia

Una scena da Phobiada «Phobia»

Biennale Prosegue la mini-tournée mitteleuropea della commedia horror prodotta dal varsaviano Nowy Teatr dopo una puntata al Teatro Mladinsko di Lubiana

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 15 giugno 2024

Prosegue la mini-tournée mitteleuropea della commedia horror Phobia prodotta dal varsaviano Nowy Teatr dopo una puntata al Teatro Mladinsko di Lubiana. Questa volta lo spettacolo, ideato a quattro mani dallo svedese Markus Öhrn e dal polacco Karol Radziszewski, sbarca alla Biennale di Venezia con due rappresentazioni il 25 e il 26 giugno presso il Teatro alle Tese.

Il sodalizio tra i due artisti visivi è stato reso possibile grazie all’intermediazione di Karolina Ochab, direttrice del Nowy Teatr, che aveva consigliato a Öhrn, classe 1972, di mettersi in contatto con Radziszewski, di 8 anni più giovane di lui.

Negli ultimi anni l’asse artistico Svezia-Polonia ha portato frutti inaspettati: il cineasta originario di Göteborg, Magnus von Horn, ha studiato regia alla Scuola di cinema di Lódz prima che la Polonia decidesse di produrre i suoi futuri lungometraggi. Il suo ultimo film, Pigen med nålen, incentrato sulla figura di un’assassina seriale in Danimarca, è stato presentato quest’anno in concorso alla Croisette.

Da studente von Horn era stato vittima di un’aggressione nel Paese sulla Vistola. Anche lo spettacolo Phobia mette in scena diversi pestaggi orchestrati dai «Fag Fighters», un commando di guerriglieri omosessuali dai modi «jokeriani», che mettono a soqquadro l’ordine costituito con tutto il suo bagaglio di stereotipi. La prima apparizione delle milizie rosa, inventate da Radziszewski, risale al 2007 quando Öhrn era ancora uno studente a Stoccolma all’Università di Konstfack delle Arti, Artigianato e Design.

Allora l’artista polacco chiese alla nonna di realizzare a maglia i passamontagna dei Fag Fighters. Un’iniziativa documentata anche con un prologo video proiettato lo stesso anno nella personale «I Always Wanted» presso il Centro d’arte contemporanea del Castello di Ujazdowski. D’altro canto, il tricot continua a essere resta un medium per fare delle rivendicazioni a mezzo dell’arte, almeno in Polonia. L’installazione femminista Meduza (2020) realizzata a maglia da Malgorzata Markiewicz, concepita come un costume mostruoso da indossare con tanto di tentacoli e di cappuccio rosso, ne è la prova. È invece un «rosa shocking» quello vestito sul palco dagli attori-marionette manovrati da Öhrn, una tinta volutamente inappropriata e polemica. Un rosa intenso che sembra quasi confondersi con il rosso del sangue sparso a cuore leggero qua e là dalla «fag gang» nel corso dello spettacolo.

Tra le vittime anche i rappresentanti del mondo degli affari e di quello dell’arte. Lo spettacolo di Öhrn si pone infatti anche come una riflessione sul fenomeno del pinkwashing che consiste nello sbandierare ai quattro venti apertura e inclusione nei confronti delle donne e della comunità LGBT+ soltanto per valorizzare un marchio o un prodotto.

A teatro, per una volta, gli esponenti delle minoranze sessuali vengono rappresentati nel ruolo di carnefici in una pièce caratterizzata da una violenza fumettistica che finisce per valorizzare la produzione artistica impegnata di Radziszewski, anch’essa caratterizzata da un’anima pop.

I suoi omaggi alle opere sul tema dell’Aids del collettivo canadese General Idea, attivo tra la seconda metà degli anni Sessanta e gli anni Novanta, ne sono un esempio. Phobia si presenta ai nastri di partenza in Laguna come un spettacolo grand-guignolesco in bilico sul filo sottile che separa, e a volta ingarbuglia, vendetta e rivendicazione. Su questo punto Öhrn aveva posto in modo chiaro una domanda dopo la prima in Polonia dello scorso autunno: possiamo ottenere qualcosa di positivo somministrando la violenza di cui ci riappropriamo nello stesso grado in cui viene utilizzata nei nostri confronti?

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