È dovuto scendere in campo Raúl Castro per chiedere la fiducia dei cubani nella dirigenza del partito-governo-Stato e per sostenere il pacchetto di riforme annunciato a fine anno dal primo ministro Manuel Marrero. L’ex presidente, ormai 92enne e in uniforme da generale dell’esercito, ha presieduto lunedì a Santiago di Cuba la cerimonia per il 65° anno del “trionfo della Rivoluzione” cubana, alla quale hanno partecipato il presidente Miguel Díaz-Canel e il premier.

«SO DI ESPRIMERE il sentimento della generazione storica nel confermare la fiducia in coloro che oggi occupano responsabilità nella direzione del nostro partito e governo» ha detto Castro: «La rivoluzione cubana, dopo 65 anni, lungi dall’indebolirsi, si rafforza» grazie alla grande unità del vertice politico. Da quando, più di cinque anni fa, si è ritirato dalle massime cariche del paese ( presidenza della Repubblica, e segreteria del Pcc) Raúl è stato restio a comparire in pubblico, ribadendo così la fiducia nel leader – di partito e governo – da lui indicato. Ma i dati della drammatica crisi che attraversa Cuba – una stagflazione con una caduta del Pil di circa due punti, un’inflazione ufficiale al 30% e una previsione di deficit fiscale per il 2024 di più del 18% del Pil – hanno indebolito la fiducia della popolazione nella capacità del governo di uscire dalla crisi.

UN DIFFUSO scetticismo è anche seguito all’annuncio del premier Marrero di un piano per eliminare «le distorsioni» dell’economia (socialista) dell’isola. Le misure – annunciate ma non ancora precisate – prevedono tra l’altro aumenti del prezzo di combustibili (gas liquido e benzina) e elettricità – entrambi inflazionari, cioè comportano aumenti nel trasporto e nei prezzi dei beni – di cambi nella cosidetta libreta de abastecimento, che assicura a tutti i cubani generi di prima necessità a prezzi sussidiati (ma che ormai serve a coprire le necessità per non più di 15 giorni) e una stabilizzazione monetaria, mettendo sotto controllo il cambio del peso cubano che nel mercato informale è ormai più del doppio di quello ufficiale.

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IL PRESIDENTE Díaz-Canel ha negato con veemenza che si tratti di un paquetazo neoliberista e ha assicurato che nessun cittadino verrà lasciato senza una protezione sociale. Ha anche rifiutato le accuse che le misure siano rivolte contro le imprese private, le cosidette Mipymes, ormai vicine al tetto di 10mila unità e che danno impiego a quasi 300mila cubani. Si tratta, aveva affermato il premier Marrero, di favorire le piccole e medie imprese che producono e di aumentare i dazi per quelle che comprano all’estero beni finiti e poi «li rivendono a prezzi troppo alti per la popolazione». Un cartone di uova si paga fino a 2000 pesos cubani a fronte di una pensione minima che non arriva a 1500 cup.

In sostanza, afferma l’analista Gabriel Vera López, si tratta di passare da un modello che sovvenziona i prodotti – la libreta concessa a tutti, compresi i residenti come chi scrive- a dare un sussidio sufficiente ai «settori sociali sfavoriti». Il ministero del lavoro dovrà individuare i «settori vulnerabili» (certo gran parte dei pensionati). Per far fronte al deficit fiscale è prevista una maggiore autonomia dei municipi, che saranno responsabili di finanziare i propri deficit favorendo nuove produzioni e tagliando spese. Maggiore autonomia è prevista anche per le imprese di proprietà statale, centinaia delle quali in passivo cronico.

Misure giudicate importanti ma non sufficienti da alcuni economisti non dell’opposizione i quali, oltre le misure di strangolamento messe in atto dagli Usa, ritengono che anche l’eccessiva burocratizzazione dello Stato cubano e una sorta di «socialismo paternalistico» siano un fattore di crisi. Su questo punto le ricette sono varie ma implicano tutte riforme di struttura del socialismo cubano. L’intervento di Raul Castro il primo gennaio fa intendere che su questo punto – necessità di riforme profonde – sia in corso un dibattito e non vi sia una linea unitaria nel Pcc. Ma la gravità della crisi e le possibili conseguenze per quest’anno non lasciano molto tempo.

L’OPPOSIZIONE che sente odore di sangue alza i toni ( violenti e di odio) in rete, prevedendo fame e sciagure associate all’«agonia del castrismo». In realtà ha ben poco da offrire, se non l’asserzione che, in fondo, ai tempi della dittatura di Battista l’economia di Cuba andava meglio. e «la libertà e la democrazia» promesse dagli Usa – a evidente scapito della sovranità nazionale. Le credenziali democratiche dell’opposizione, soprattutto in Florida, sono più che dubbie. Ma i toni apocalittici e le false notizie diffuse a man bassa rischiano di avere una presa anche a Cuba. Lo dimostra il fatto che, secondo dati Usa, negli ultimi due anni circa 460mila cubani ( il 4% della popolazione) sono entrati negli States o sono ammassati alla sua frontiera in Messico.