Le fluttuazioni da montagne russe del valore del dollaro, – prima un bajón, una caduta in picchiata di quasi cento punti e poco più di una settimana dopo una risalita vertiginosa – sono da tempo l’argomento del giorno a Cuba.

La moneta Usa a metà maggio era arrivata a sfiorare i 400 pesos (il cambio ufficiale per turisti è attorno ai 120 pesos). All’inizio di giugno però è caduta a 280 pesos (l’euro a 295). Nessuno aveva una spiegazione chiara – anche se di “teorie” ne circolavano molte – visto che da parte del governo non vi sono stati interventi monetari e che la «stabilizzazione economico-monetaria» molte volte annunciata, rimane ancora un progetto di cui nulla si sa.

CHI COMPRA DOLLARI?, mi dice Emilio, ex dirigente del settore petrolifero ed ex pensionato di lusso, che oggi però con la sua pensione che ammonta a poco più di 5500 pesos può comprare un cartone di 30 uova e qualche chilo di pollo. «I dollari – prosegue Emilio – nel mercato parallelo li comprano le Mypimes, i micro e piccoli imprenditori sorti come funghi negli ultimi mesi (ve ne sono più di 10 mila) che acquistano soprattutto prodotti alimentari all’estero (in dollari) e li rivendono qui nei chioschetti in moneda nacional (in pesos, ndr)». Ovviamente a un prezzo assai alto: ma comunque hanno in mostra prodotti necessari sia per sopravvivere sia per tirare il fiato (lattina di birra a 200 pesos) che non si trovano nei negozi statali, nemmeno quelli in moneda dura, Mlc, ovvero in dollari pagabili con carte di debito.

Prosegue Emilio: «I prezzi sono rimasti uguali anche con il bajón del dollaro. Per buona parte dei cubani sono inarrivabili (circa 800 mila cubani vivono con un reddito di circa 1500 pesos al mese, meno di mezzo dollaro al giorno, afferma il noto economista Juan Triana). Dunque calano ulteriormente i consumi, c’é meno richiesta di dollari, il verdone cala».

ALTRI, PIÙ POLITICIZZATI, sostengono che la caduta in picchiata del dollaro sia stata causata dalle recenti “aperture elettorali” del presidente Biden: concedere ai piccoli imprenditori di Cuba la possibilità di aprire conti bancari in Usa e di usare le piattaforme statunitensi per transazioni finanziarie, associata all’altra misura elettorale del presidente Usa, «chiudere la frontiera all’immigrazione illegale». Risultato, meno richiesta di dollari anche dagli altri “consumatori” della moneta Usa: i cubani che decidono (a decine di migliaia) di lasciare l’isola con la speranza di entrare negli Stati Uniti.
È quanto ha fatto inferocire l’opposizione made in Florida. Ma come, la crisi cubana ha raggiunto il punto critico, lo Stato socialista è in pieno fallimento e Biden si produce in una apertura che regala tempo al governo dell’Avana, hanno tuonato i commentatori della contra. Gli stessi che pochi giorni prima puntavano sulle Mypimes per dimostrare che il socialismo era fallito e viva la proprietà privata.

Sabato, però, il dollaro ha compiuto un balzo in avanti tornando a quota 390 (l’euro a 400).

Vai a capirci qualcosa. Se non che è chiaro che vi sono manovre speculative. In primis del vituperatissimo (dal governo cubano) El Toque, un sito web, ancorato negli Usa, che ogni giorno pubblica la quotazione del peso cubano nei confronti di dollaro, euro e altre valute. Mediante un algoritmo che analizza le transazioni nei social, ovvero una base assai manipolabile. Afferma l’economista Omar Everleny: «Posso pubblicare su Facebook che voglio comprare dollari a 380 pesos l’uno, ma nessuno garantisce che poi lo faccia. Dunque è chiaro che l’algoritmo del Toque è speculativo». Ma, aggiunge, «oggi come oggi è l’unico punto di riferimento. Perché il governo cubano non interviene, non vende dollari a prezzo più basso, non fissa un cambio accettabile e sostenibile».

E QUI SIAMO NEL CUORE della crisi cubana che negli ultimi mesi si è molto aggravata e ha fatto levare in volo gli avvoltoi dell’opposizione anticastrista e di buona parte della stampa internazionale. Da anni l’isola vive in una situazione di emergenza a causa soprattutto del blocco economico, finanziario e commerciale degli Stati uniti. Ma di recente, di sicuro dall’inizio dell’anno, la situazione si è aggravata pericolosamente per le conseguenze sociali, aumento della forbice tra chi ha dollari e chi vive di pesos, pensionati quasi alla fame, corruzione e, fatto del tutto nuovo, comparsa di una microcriminalità che inizia a far paura.

La diagnosi della gravità della crisi è stata fatta in più occasioni sia dal presidente Miguel Díaz-Canel che dal premier Manuel Marrero, i quali hanno ammesso – anche questa è una novità – una componente interna di questa crisi. Quello che poi è sotto gli occhi di tutti: il sistema produttivo – imprese statali – è drammaticamente al di sotto delle esigenze. Nel settore alimentare poi è un disastro: il governo spende quasi due miliardi di dollari l’anno per importare prodotti alimentari che potrebbe (anzi dovrebbe) produrre sull’isola. L’altro ieri il governo ha potuto solo vantare «un leggero rallentamento dell’inflazione», che comunque è attorno al 30%..

EVERLENY E TRIANA sono i due più noti economisti che vivono nell’isola. Entrambi hanno diretto il Centro studi di economia dell’Università dell’Avana. Concordano che la crisi è strutturale e che vi è necessità di riforme di struttura. Il punto nodale per Everleny è che «il governo prosegue nel tentativo di ignorare il mercato. Ti faccio un esempio: ai produttori di latte lo Stato paga 20 pesos al litro, ma se lo cerchi en la calle lo paghi 300 pesos. Risultato non c’è latte. E Cuba sta ricevendo per la prima volta donazioni internazionali per dare latte ai bambini. Il mercato non significa capitalismo, basta guardare al Vietnam e alla Cina. Se non si produce, non si può redistribuire. È il serpente che si mangia la coda».

Anche Triana parte dalla costatazione che «c’è un contesto esteriore (il blocco Usa, ndr) sul quale non possiamo incidere», mentre invece si deve «risanare il sistema imprenditoriale, basti pensare che l’anno scorso 323 imprese statali hanno chiuso in perdita, concentrando le risorse in quei settori che possono concorrere a migliorare la qualità della vita dei cubani».