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Al buio e il cibo scarseggia, Cuba cammina sulle uova

Al buio e il cibo scarseggia, Cuba cammina sulle uovaL’Avana, 21 ottobre, una strada della capitale priva di illuminazione – Ramon Espinosa/Ap

Reportage Con il blackout totale è cresciuto il malcontento, anche tra chi la rivoluzione l’ha celebrata

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 25 ottobre 2024

Quando se vaya la luz, mi negra è il titolo di una canzone del 1995 del cantautore cubano Frank Delgado. Domingo, un ex colonnello dell’esercito da poco in pensione, la canta con un sorriso ironico e malinconico e dice che non è mai passata di moda, perché a Cuba le interruzioni di corrente non sono una novità, anzi una tradizione. Negli ultimi anni, però, sono andate intensificandosi di frequenza, soprattutto nelle province, risparmiando parzialmente la capitale, fino al collasso elettrico di venerdì scorso in cui la centrale Antonio Guiteras, la più grande delle otto di cui dispone l’isola, ha smesso di funzionare.

Il blackout totale ha lasciato tutta l’isola senza elettricità, ad eccezione degli ospedali, degli aeroporti, e di una manciata di hotel di lusso dotati di generatori autonomi, e per molte famiglie l’assenza di corrente ha significato anche rimanere senz’acqua. Ma soprattutto il dramma di non poter conservare il cibo in una situazione di penuria alimentare diffusa, che si è andata aggravando dalla pandemia in poi, e ha visto diminuire drasticamente i prodotti della canasta familiar distribuita mensilmente dal governo. «La canasta di ottobre non è mai arrivata e siamo quasi a fine mese», spiega Léon, direttore di una scuola elementare nel centro di L’Avana, «e purtroppo anche le mense scolastiche risentono della scarsità». La scuola è chiusa in questi giorni di emergenza elettrica e, a L’Avana vecchia, in centro città, i bambini giocano a biglie o alla pelota per strada.

DOPO OLTRE 72 ORE la corrente è tornata martedì almeno nella capitale, anche se la sospensione di tutte le attività pubbliche, inclusa la scuola, inizialmente prevista fino a mercoledì, è stata prolungata fino all’inizio della prossima settimana. In città, le notti buie sono state animate dalle proteste domestiche degli abitanti a suon di pentole e cucchiai e da un paio di episodi di assalto ai negozi del centro, a cui il presidente Miguel Diaz-Canel ha risposto con un risoluto appello alla calma, condannando la condotta «indecente» di chi «in stato di ebbrezza» avrebbe condotto «atti di vandalismo».

IL MALCONTENTO nei confronti del governo è alle stelle anche tra le fila di chi la rivoluzione l’ha celebrata o perfino combattuta. Juan, 82 anni, originario di Santiago, adolescente ha seguito l’Ejército rebelde nella Sierra Maestra, e negli anni Sessanta ha cominciato a lavorare per il ministero dell’Industria all’epoca guidato da Che Guevara. Da sessant’anni vive a L’Avana, non lontano dal parque Curita, in un edificio ormai pericolante che le perizie hanno dichiarato inagibile, ma che l’amministrazione non ha i mezzi per riparare. Juan ha smesso da tempo di partecipare alle riunioni del Comitato di Difesa della Rivoluzione (Cdr), mentre Celia sua moglie continua a frequentarle. «Siamo pochissimi, dice Celia, a volte quattro, cinque in tutto il quartiere, e poi con questa storia dei problemi del condominio, che avevamo cominciato a sollevare già anni fa fino a ritrovarci con il soffitto a pezzi, i vicini non ne vogliono sentir parlare». Celia ha lavorato come commessa per una vita nei negozi del governo, e oggi ha una pensione di 1.700 pesos e una passione per le uova che, come tanti cubani, non può più permettersi.

LE UOVA D’IMPORTAZIONE, vendute nei negozi privati a prezzi insostenibili, sono diventate l’emblema delle disuguaglianze che proliferano nella società cubana. Il tentativo del governo di alleviare il disagio dell’economia nazionale, afflitta da quasi 65 anni da un embargo sempre più asfissiante, aprendo nel 2021 all’iniziativa delle micro, piccole e medie imprese private (mipymes) e permettendo così la circolazione sul mercato di beni di consumo che lo stato non può garantire alla popolazione, ha creato un abisso tra chi partecipa e beneficia dei guadagni del settore cosiddetto “non-statale” e chi no.

E ha generato il paradosso che un cartone di 30 uova in bella mostra nella vetrina di un negozio decorato a festa con le zucche di Halloween costi esattamente il doppio della pensione di Celia. Non stupisce il calo demografico del paese, che in tanti, giovani e meno giovani vogliono, lasciare. Rafael, il figlio di Celia e Juan, laureato in microbiologia, è emigrato già da qualche anno con tutta la famiglia in Honduras poi in Messico e infine negli Stati Uniti, secondo una delle rotte migratorie consolidate per molti cubani, e lavora come autista di Uber a Tampa. Non ha fatto fortuna, ma ogni tanto riesce ad aiutare i genitori. Per Celia, però, le uova comprate con le remesas del figlio hanno un sapore amaro. Tra la generazione Van Van – dal nome di uno dei gruppi musicali emblematici della Rivoluzione cubana, creato nel 1969 – e la generazione reggaeton, che nel 2018 è stata catapultata nel mondo della rete con la diffusione di internet a Cuba, lo iato è immenso.

PER CHI DELLA RIVOLUZIONE ha conosciuto solo le ristrettezze economiche non è così difficile disamorarsi del socialismo, voler voltare pagina, sognare Miami, inneggiare a Patria y Vida, la canzone del rapper Yotuel Romero che ha suscitato tante polemiche per aver liquidato lo storico slogan del 1959 Patria o muerte. Per chi, invece, ha condiviso l’ascesa della Rivoluzione e conserva la memoria di quello che è stato, è doloroso fare i conti con la Cuba di oggi e con le ricadute del “socialismo in un solo paese”, per lo più gravato dalle sanzioni di Washington, di cui la crisi energetica attuale è espressione, stante le protratte difficoltà del paese ad approvvigionarsi di petrolio.

Ma tra le fila di chi ha partecipato alle proteste dell’11 luglio 2021 contro il governo, e tra la gente che ha protestato in forma più sommessa in questi giorni, stremata dal back out prolungato e indignata dalla precarietà a cui è condannata una buona parte della popolazione cubana, non c’è, come vuole Diaz-Canel, solo la controrivoluzione di Miami. C’è anche chi, pur contestando le riforme del governo e l’incuria della casta dirigente, alla Rivoluzione ci tiene ancora e spera che Cuba possa ritornare al futuro.

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