«Le prove raccolte rivelano un attacco alla dignità umana e dimostrano accuse credibili di attacchi contro la popolazione civile, in particolare contro i campi per sfollati interni». Con queste parole il procuratore generale della Corte penale internazionale (Cpi), Karim Khan, ha lanciato martedì un appello riguardo alle atrocità commesse nella regione del Darfur da parte delle milizie delle Forze di Supporto Rapido (Rsf) guidate dal generale Hamdane Dagalo (detto Hemedti) contro le popolazioni non arabe della regione: in particolare i Massalit e gli Zhagawa.

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KHAN CHIEDE a possibili testimoni e a chi abbia prove a disposizione dei crimini commessi dallo scoppio della guerra civile nell’aprile 2023 di rivolgersi alla Corte attraverso un link fornito sui social.
«È scandaloso permettere che la storia si ripeta ancora una volta in Darfur. Non possiamo e non dobbiamo permettere che il Darfur diventi ancora un’atrocità dimenticata dal mondo», ha affermato Khan, riferendosi alle violenze in una regione che dal 2003 è stata teatro di massacri compiuti dalle milizie Janjaweed – confluite successivamente nelle Rsf – con oltre 400mila vittime.
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Gli eventi accaduti nel Darfur occidentale sono tra le «massime priorità» dell’indagine avviata dalla Cpi, dove le prove raccolte anche dall’Ong Human Rights Watch (Hrw) indicano «una campagna di pulizia etnica attraverso massacri, omicidi e stupri», con un bilancio complessivo di 15mila vittime nella sola città di el-Geneina.

MENTRE le indagini sono in corso, numerosi episodi vedono coinvolte le Rsf in violenze indiscriminate contro i civili. Dopo aver raso al suolo decine di villaggi, bombardato numerosi quartieri e campi profughi – oltre 1.300 le vittime stimate – e ucciso civili in fuga dalla città, domenica il gruppo paramilitare ha attaccato e costretto alla chiusura l’ultimo ospedale funzionante di Medici senza Frontiere (Msf) a el-Fasher, diventata inaccessibile alle organizzazioni umanitarie.

Con oltre due milioni di abitanti – di cui 800mila profughi – el-Fasher resta l’unica capitale dei cinque stati del Darfur a non essere nelle mani dei paramilitari di Hemedti e in questi ultimi mesi è diventato l’epicentro degli scontri tra i due schieramenti, con la popolazione ormai senza cibo e medicinali. Violenze e massacri che non rimangono circoscritti solo al Darfur. L’ennesimo eccidio è avvenuto lo scorso giovedì a Wad el-Noura, nello stato di Jezira – circa centro chilometri a sud da Khartoum – dove le Rsf hanno assediato il villaggio, lo hanno bombardato con l’artiglieria pesante, per poi accanirsi e massacrare civili inermi e i volontari dei comitati di difesa locali.

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IL BILANCIO provvisorio del massacro ammonta a «104 vittime civili, con oltre 35 bambini uccisi a sangue freddo e altre possibili fosse comuni nell’area». «Le immagini che ci arrivano da Wad al-Noura sono strazianti – ha lamentato Clémentine Nkweta-Salami, coordinatrice umanitaria delle Nazioni unite – La tragedia umana è diventata una caratteristica della vita in Sudan e vede purtroppo coinvolti sempre più bambini».

Ieri l’agenzia Afp ha riportato di altri nuovi combattimenti che hanno causato almeno 50 vittime tra i civili nei quartieri di Omdurman, una città alla periferia nord della capitale, dove sono ripresi gli scontri tra le Rsf e i militari dell’esercito sudanese (Fas), guidati dal generale Abdel Fattah Al-Burhan.

In tutto il Paese, da più di un anno, proseguono quotidianamente i combattimenti tra esercito e Rsf in un conflitto che a oggi ha provocato oltre 25mila vittime. Entrambe le parti sono regolarmente accusate di «crimini di guerra», tra cui «il prendere di mira i civili e i rifugiati, il bombardamento indiscriminato di aree densamente popolate, il saccheggio o il blocco degli aiuti umanitari in un paese alla fame».

IN UNA RECENTE dichiarazione il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha condannato «una situazione insostenibile in un paese flagellato dalla carestia, dai continui attacchi contro civili e con oltre 10 milioni di profughi», invitando la comunità internazionale a fare «qualsiasi sforzo per fermare questo massacro».