I 36 mila casi positivi al coronavirus registrati lunedì sono una volta e mezzo quelli di una settimana fa. Il parere di molti epidemiologi è che, con buona probabilità, oggi il numero di nuovi casi sfondi quota centomila. Si tornerebbe dunque sui livelli dell’ondata di gennaio, la prima della variante Omicron. Solo che allora si effettuavano oltre un milione di tamponi, mentre oggi se ne fanno tre volte di meno. Il numero reale di persone attualmente positive sarebbe assai superiore al milione registrato nelle statistiche ufficiali. Le varianti BA.4 e BA.5, secondo l’Iss, rappresentano ora l’80% dei casi sequenziati.

Ma i paragoni tra i numeri di oggi e quelli di pochi mesi fa sono ad alto rischio. Perché il sistema di monitoraggio delle Regioni fa i conti con fattori di incertezza sempre nuovi, che rendono i numeri ancora meno affidabili. L’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità è un guazzabuglio pieno di cifre che si contraddicono a vicenda.

Ad esempio: il tasso dei positività dei tamponi è molto elevato e prossimo al 30%, come avviene quando la maggioranza di chi si reca a fare il test ha sintomi che fanno pensare al Covid-19. Eppure, secondo il rapporto Iss la percentuale di asintomatici tra questi è pari al 70%. L’apparente contraddizione si spiega con la fine del green pass, che ha reso superflua in molti casi la certificazione ufficiale dei casi positivi e l’accertamento del loro stato clinico da parte di un medico. Così, la gran parte delle regioni trasmette a Roma informazioni lacunose, che fanno classificare tra gli asintomatici molti casi positivi.

Questo non significa, tuttavia, che del Covid-19 si stia sottostimando l’impatto clinico. Sin dai primi mesi della pandemia è noto che una percentuale sostanziale delle infezioni dia pochi o nessun sintomo, a maggior ragione dopo le campagne vaccinali. Il dato è confermato anche dall’impatto limitato delle ondate più recenti sugli ospedali. Oggi i posti letto occupati dai pazienti positivi sono il 10% del totale e il 2,6% in terapia intensiva. Ma è difficile stimare quanti di questi siano ricoverati a causa del Covid-19 e quanti abbiano scoperto la positività durante un ricovero per altra causa. Quindi anche i numeri sulle ospedalizzazioni, a lungo considerati più solidi, potrebbero restituire un’immagine deformata – in peggio – della situazione attuale.

Tutte queste incertezze influenzano a cascata la stima dell’efficacia dei vaccini. Anche su questo piano il rapporto Iss presenta dati contro-intuitivi. Ad esempio, l’efficacia dei vaccini risulta più elevata in chi si è vaccinato da oltre quattro mesi, che in chi lo ha fatto in tempi più recenti. E il rischio di contagiarsi appare identico nei non vaccinati e in chi ha fatto tre dosi. Cifre in conflitto con la letteratura scientifica, tanto è vero che lo stesso Iss parla di «limiti dell’analisi».

Il principale è «la cospicua diminuzione dei soggetti suscettibili a partire dal mese di gennaio 2022, in relazione all’aumento della circolazione della variante Omicron, altamente trasmissibile – scrivono i tecnici – con il risultato di un aumento della quota di persone che hanno avuto un’infezione non notificata, che per l’analisi risultano come ‘non vaccinati’ e che però hanno una protezione data dall’infezione». In altre parole, secondo gli epidemiologi Iss, molte persone che hanno rifiutato la dose sarebbero state «vaccinate» da Omicron e questo rende apparentemente inferiore il vantaggio derivante dal vaccino. «Alla luce di queste considerazioni è in corso una revisione della modalità di analisi dei dati di efficacia», avvertono i tecnici. Ma nel frattempo c’è il rischio che questi numeri vengano strumentalizzati dai movimenti No Vax.