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Calabria, l’esodo forzato dei pazienti psichiatrici

Calabria, l’esodo forzato dei pazienti psichiatrici

La denuncia Il piano della regione prevede la chiusura di cinque strutture con 100 degenti da trasferire a centinaia di chilometri o destinati a restare senza cure. In venti sono già finiti a Pavia

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 10 novembre 2024

Pazienti trasferiti come pacchi. Succede a Reggio Calabria. E non si tratta dei frequenti casi di emigrazione sanitaria alla quale da sempre i calabresi devono ricorrere per curarsi. Stavolta ad essere spedite in strutture esterne al territorio sono persone affette da disagio psichico. A denunciarlo sono i loro parenti che nel mese scorso hanno protestato occupando la Direzione generale dell’Asp reggina. Accusano i vertici dell’Azienda sanitaria e il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto (Fi). «Stanno attuando un piano – denuncia il comitato Parenti Psichiatria – che deve portare alla chiusura di cinque strutture psichiatriche con 100 pazienti da trasferire a centinaia di chilometri o destinati a restare senza cure». La maggior parte è stata trasferita in altre province calabresi. In 20 sono finiti addirittura a Pavia.

È l’ennesima prestazione sanitaria negata a causa dei tagli imposti dal commissariamento e dal piano di rientro da 270 milioni. «Nonostante – precisa il comitato – una recente sentenza del Tar abbia annullato i provvedimenti regionali che escludevano cinque strutture preesistenti dal percorso di accreditamento, la regione non ha ancora applicato quanto stabilito. E non sembra abbia intenzione di farlo. Questo stallo mette a rischio la continuità assistenziale per decine e decine di pazienti psichiatrici». In totale sono 900 quelli costretti a curarsi fuori regione.

«Qui in Calabria – spiega al manifesto Basilio Campanella, paziente e poeta reggino – ci sono una ventina di strutture residenziali, alcune dell’Asp, altre private accreditate. Quelle pubbliche stanno per chiuderle tutte. I ricoveri sono bloccati da 15 anni, perché le strutture sono piene. In queste patologie non è facile essere dimessi in tempi brevi. A volte, infatti, non è praticabile una reale riabilitazione e i posti sono occupati da pazienti di lunga durata». Quella di Basilio è stata una vera e propria odissea: «Aspettai due mesi prima che trovassero un posto per me. Mi mandarono prima in provincia di Chieti e poi a Isernia. L’Asp dovrebbe investire in strutture pubbliche una quota consistente dei contributi erogati per le cure psichiatriche. In Friuli lo fanno: viene assegnato un operatore a ogni paziente. In Calabria questi fondi sono destinati alle cosiddette cooperative sociali che però di sociale non hanno un bel niente. A me hanno chiesto 10mila euro per due anni, cioè si sono presi tutti i soldi previsti per l’accompagnamento, più i fondi versati dall’Asp per ogni paziente».

Infine: «Mi hanno mandato – conclude Campanella – in una struttura dove in sostanza vegetavo, non mi stimolavano a fare niente. Comunque è così quasi dappertutto. Ci sono in giro per l’Italia centri che funzionano, ma sono davvero in pochi. A Padova, Pavia, Trieste, per citare alcuni esempi, i soldi dell’Asp sono impiegati nel pubblico. In Calabria no. Esistono poche eccezioni. Tra le associazioni virtuose, mi viene in mente il progetto Itaca che ha una sede anche a Lamezia Terme». La Calabria non è proprio terra di basagliani. E l’Azienda sanitaria della città dello Stretto ha dal canto suo una brutta fama.

Non bastasse il poco invidiabile primato di due commissariamenti per infiltrazioni ‘ndranghetiste (con episodi di fatture pagate tre volte per favorire gli interessi della malavita), è finita recentemente sotto la lente dei magistrati meneghini. L’inchiesta della procura di Milano, rilanciata ed approfondita dal settimanale L’Espresso, ipotizza un meccanismo di saccheggio dei fondi destinati a potenziare le strutture ospedaliere. Il sospetto dei magistrati è che dietro la sofferenza contabile della sanità di Calabria ci sia la volontà di favorire l’intermediazione. Le transazioni milionarie a favore del gruppo lombardo Bff Bank destano molti dubbi. Si tratta di cospicue somme: 77 milioni, destinati a comporre bonariamente le controversie tra le Asp di Reggio e Cosenza ed i creditori, che fanno gridare allo scandalo.

È la sempiterna «sanitopoli calabrese». In una regione dove l’emigrazione sanitaria ha sfondato il muro dei 300 milioni annui, dove manca una quantità impressionante di personale, dove proseguono i tagli di prestazioni e i medici scappano via, i bilanci delle aziende sanitarie restano sempre avvolti nel mistero. Per cui non c’è da meravigliarsi se a causa della gestione «disinvolta», pazienti fragili come quelli psichiatrici siano trattati come pacchi da spedire a migliaia di chilometri. Malgrado ciò la direttrice generale dell’Asp reggina, Lucia Di Furia, rivendica il «merito» di non averli lasciati per strada.

Davvero una beffa per gli attivisti della sanità pubblica. Che raccontano le ore di occupazione della direzione generale dell’Asp: «Ci è stato impedito persino di utilizzare i servizi igienici, poi è stato limitato l’accesso a un solo wc privo di acqua, non è stata mai consentita la fornitura di viveri, non è stato permesso il turn-over da noi programmato. Situazioni che non si sposano, in uno stato democratico, con il diritto a protestare per così gravi violazioni del diritto alla tutela della salute mentale». Per loro le responsabilità ricadono tutte sulla struttura commissariale della sanità (Occhiuto e il suo vice Francesco Esposito) e sulla Direzione generale dell’Asp (Di Furia).

L’occupazione dopo 10 giorni è stata interrotta. Ma non la lotta e la determinazione. «Vogliamo alzare ancora di più il tiro, portando con noi le “vittime” predestinate di questa barbarie sanitaria, i nostri figli, fratelli, parenti», ci dicono i familiari. Che rinnovano l’appello al vescovo, al sindaco e alla società civile a mobilitarsi. Dalla loro parte c’è il medico Santo Gioffrè, scrittore e nel 2015 commissario dell’Asp reggina: «Le strutture che curano i pazienti psichiatrici forniscono un servizio assistenziale fondamentale che l’Asp non è in grado di fornire, compresa l’assistenza alberghiera. È un fatto prettamente politico il rischio di chiudere il servizio, perché dopo 30 anni alcune di queste non vengono accreditate dalla regione. E si inserisce in una malagestione della spesa sanitaria ormai ventennale che io denunciai per tempo e di cui ho pagato un prezzo alto. In questa palude galleggiano le banche che acquistano crediti problematici, a sconto, da aziende a loro volta creditrici delle Asp e che con le Asp instaurano transazioni milionarie».

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