Che la protezione dall’infezione dei vaccini anti-Covid19 cali nel giro di pochi mesi è un dato ormai accertato. Ma che l’efficacia diventi addirittura negativa, come sostengono dati alla mano i movimenti contrari ai vaccini, sarebbe sorprendente. Alla lettera, significa che vaccinarsi aumenti la probabilità di contrarre il virus. C’è chi questi dati li ha già portati in Parlamento, come il senatore Lucio Malan (Fdi) che a gennaio ne ha chiesto conto al ministro Speranza. Sulla base di studi danesi e britannici, Malan ha ipotizzato che il vaccino «peggiori l’efficienza del sistema immunitario».

ORA IL TEMA È TORNATO di attualità dopo un recente convegno organizzato a Roma dai parlamentari di «Alternativa» a cui hanno partecipato i medici più ascoltati dai gruppi anti-vaccinisti. Per mettere in dubbio l’opportunità della campagna di immunizzazione, l’epidemiologo Alberto Donzelli stavolta ha citato anche dati italiani, pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) su una rivista autorevole come il British Medical Journal. Lo studio dell’Iss mostra una maggire probabilità di contagio tra gli over 60 e tra gli immunocompromessi vaccinati da oltre 31 settimane rispetto a chi lo è da meno di due e non ha ancora sviluppato l’immunità. Significa che il vaccino non solo non protegge, ma è addirittura dannoso?

Secondo il dottor Massimo Fabiani, coordinatore della ricerca dell’Iss, «il calo dell’immunità è ormai attestato da molti studi internazionali». Ma l’interpretazione di Malan e Donzelli è sbagliata. «Gli studi sull’intera popolazione, compreso il nostro, hanno il vantaggio di studiare campioni molto ampi e di valutare l’impatto dei vaccini nel mondo reale. Però hanno anche delle limitazioni» avverte Fabiani. «I gruppi che si confrontano non sono omogenei. Dato che gli anziani più fragili sono stati vaccinati prima, il campione delle persone vaccinate da più tempo è quello più vulnerabile. Quindi potrebbero aver contratto il virus con maggiore facilità ma non per colpa del vaccino». Inoltre, in questi studi non si tiene di altri fattori, come il diverso comportamento e l’accesso ai test. «Chi si vaccina potrebbe assumere comportamenti più a rischio e questo farebbe sovrastimare i casi tra i vaccinati e a sottovalutare l’efficacia. Al contrario, l’obbligo di green pass porta a individuare più casi tra i non vaccinati. Difficile dire quale effetto prevalga».

I CONFRONTI SULLA popolazione vaccinata e non vanno dunque analizzati con cautela. Per valutare l’efficacia dei vaccini sono più appropriati i trial clinici randomizzati, in cui si mettono a confronto popolazioni omogenee di volontari sottoposti agli stessi esami, in «doppio cieco» per evitare che che la consapevolezza di essere vaccinati o di aver ricevuto un placebo influenzi l’esito. Ma aziende come Pfizer e Moderna hanno fermato in anticipo i loro trial randomizzati una volta verificata l’efficacia del vaccino, offrendolo a chi aveva ricevuto il placebo. E così non hanno potuto fornito informazioni affidabili e tempestive sulla durata dell’immunità da vaccino, che avrebbero aiutato a pianificare le campagne vaccinali.

«La ragione è bioetica» spiega Fabiani. «Non si può privare di un vaccino efficace un volontario che si è prestato alla sperimentazione e ha ricevuto il placebo». Vero, ma etica e ricerca scientifica non sono incompatibili, come mostra l’esempio della Novavax. Nei suoi trial, l’azienda statunitense ha applicato un ingegnoso schema detto «crossover», che permette di vaccinare tutti i volontari senza interrompere gli studi in «doppio cieco». E presto dovrebbe fornire i dati più solidi sulla durata dell’immunità.