Non si attendevano grandi numeri, ma sicuramente si sperava in qualcosa di più. Lo scenario più cupo prevedeva che il Partito democratico avrebbe doppiato il Movimento 5 Stelle ma nessuno pensava che si sarebbe andati anche oltre. Per questo, in via Campo Marzio, a fine serata, regna ancora il silenzio: nessun commento al voto. Per le prime dichiarazioni, spiegano dal partito, «si attende una copertura più ampia del campione» con dati più certi rispetto alle prime proiezioni che danno i pentastellati tra il 10 e l’11%.

SULLE PRIME non c’è traccia di Giuseppe Conte ma si intravedono Francesco Silvestri (capogruppo alla camera) insieme al vicepresidente Riccardo Ricciardi e ad Alessandra Maiorino. E poi ci sono i reduci del M5S della prima ora (e unici della vecchia guardia recuperati nello staff parlamentare): l’ex vicepresidente del senato e attuale responsabile dei territori Paola Taverna e Vito Crimi, che fu reggente quando Luigi Di Maio decise di fare un passo indietro.

QUANDO LE 2 di notte sono passate, il leader si presenta davanti ai microfoni. «I giudizi dei cittadini sono inappellabili – dice Conte – Prendiamo atti di un risultato sicuramente deludente. Potevamo sicuramente fare meglio, cercheremo di approfondire le ragioni e faremo una riflessione interna per capire le ragioni di un risultato che non è quello che ci aspettavamo. I nostri europarlamentari saranno assolutamente coerenti rispetto agli impegni presi in campagna elettorale».

A QUESTO PUNTO al M5S, insomma, toccherà la più classica delle analisi della sconfitta. Mancano soprattutto i voti del sud, storico serbatoio di consensi pentastellati. Ha pesato l’astensione, come testimonia la vicepresidente del Senato Mariolina Castellone quando prova a scaricare le colpe sul governo. «Abbiamo un sud che ha deciso di non partecipare alle elezioni e io una domanda se fossi al governo me la farei – dice Castellone – Il sud non si sente rappresentato da un governo che lo ha portato verso l’autonomia differenziata e gli ha sottratto 20 miliardi di Pnrr». Si spera che i 5 Stelle proveranno a comprendere i motivi per cui i percettori di reddito di cittadinanza non hanno consegnato a Conte e i suoi il dissenso verso il governo Meloni, che in questi due anni non ha esitato a prendersela contro i più poveri.

IL M5S HA PROVATO a condurre una campagna elettorale tutta incentrata sulla figura del leader: è Conte che ha fatto da frontman, è lui è andato per il paese portando in giro uno «spettacolo» (sic) in sale cinematografiche e teatri e che ha provato a trascinare la figura dei candidati a partire dalla sua immagine di uomo di governo.

NE È VENUTO fuori il peggior risultato degli ultimi dieci anni, da quando i 5 Stelle concorrono alle europee. In un partito che negli ultimi anni è stato costruito ad arte attorno alla figura dell’ex presidente del consiglio tutto ciò potrebbe scatenare un terremoto. Non è un caso che l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi l’altro giorno ha annunciato che dopo essere andata alle urne si è unita ad un appuntamento dell’associazione Schierarsi, fondata dall’ex parlamentare Alessandro Di Battista che incombe su tutto il M5S. Difficile pensare che davvero il soggetto che Conte si è costruito attorno possa cambiare linea politica da un giorno all’altro. Ma se nelle ultime settimane i 5 Stelle davano per fattibile l’alleanza in Europa con i rossobruni tedeschi di Sarah Wagenknecht (che si batte per i diritti dei lavoratori ma al tempo stesso rivendica la restrizione di quelli dei migranti) si capisce quanto ci si muova sul filo del rasoio. Conte porterà a Bruxelles tra gli otto e i dieci europarlamentari. Nella scorsa legislatura erano 14 ma si ridussero fino a un terzo. Erano parte della maggioranza Ursula. Proverà ad alzare i toni per correggere la rotta? A botta calda prova a tenere la linea: «Nel complesso le forze progressiste hanno tenuto bene – dice – Ma c’è da interrogarsi su un asse politico Germania-Francia che cambia. Cercheremo su un equilibrio difficile tra forze progressiste e conservatrici di far valere il nostro peso a favore di un’Europa progressista». Anche sul piano interno non sembra offrire spazi a mutamenti di rotta: «Il nostro impegno non marca nessuna battuta d’arresto – sottolinea – Il dialogo con le forze progressiste non dipende da un appuntamento elettorale, sarà sempre più intenso man mano che dovremo assumerci la responsabilità di offrire l’alternativa questo governo».