La situazione in cui si trova Ilaria Salis, detenuta a Budapest da febbraio dell’anno scorso in quanto imputata per aggressione a due neonazisti, fotografa una realtà drammatica: quella delle carceri ungheresi. In una lettera scritta al suo avvocato Eugenio Losco, menzionata dall’articolo di Mario Di Vito su il manifesto del 11 gennaio, Ilaria racconta condizioni igieniche spaventose che comprendono la presenza di cimici, topi e scarafaggi, «una dotazione mensile di 100 milligrammi di sapone, quattro pacchi di carta igienica e un ciuffo di cotone per il ciclo mestruale». L’elenco degli orrori aumenta con il riferimento a trasferimenti in catene, un’ora d’aria al giorno e, a quanto pare non sempre garantita, detenuti costretti a guardare il muro durante le soste nei corridoi.

Ilaria vive questo incubo da ormai undici mesi e per sei non ha potuto comunicare con nessuno, neanche con i suoi familiari. Il suo è un caso che ci tocca direttamente in quanto coinvolge una nostra connazionale, ma è sintomatico di un sistema detentivo, quello ungherese, i cui problemi di sovraffollamento sono dovuti, soprattutto, alla facilità con cui nel paese si ricorre alle pene detentive anche per reati di lieve entità.

Intervistate da il manifesto verso la metà di dicembre scorso, Zsófia Moldova ed Erika Farkas del Comitato Helsinki Ungherese, raccontano che «l’Ungheria è lo stato Ue con la più alta percentuale di persone in carcere rispetto alla popolazione. La lunghezza delle pene detentive è superiore alla media europea». Non basta, il codice di procedura penale in vigore nel paese prevede che, ad esempio, «per i reati punibili con oltre un decennio di carcere, come nel caso della Salis – che di anni ne rischia sedici – la carcerazione preventiva può durare anche quattro anni».

Una sproporzione evidente. Di fatto, l’Ungheria è stata già richiamata da Bruxelles per le sue condizioni di detenzione. Nel discorso annuale alla nazione tenuto a febbraio del 2020, il primo ministro Orbán attaccava la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per aver imposto allo stato ungherese di indennizzare dei detenuti sulla base di segnalazioni di organizzazioni civili che denunciavano le condizioni disumane caratterizzanti il sistema detentivo nazionale.

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È sempre il Comitato Herlsinki Ungherese a denunciare da tempo politiche penali che, nel paese, producono migliaia di casi di custodia cautelare senza alcuna giustificazione e i gravi problemi esistenti nelle carceri ungheresi sotto il profilo igienico e della vivibilità: celle infestate da insetti, scarsa aerazione, strutture inadeguate che determinano condizioni degradanti e disumanizzanti per i ristretti. Senza contare che gli istituti di pena soffrono di squilibri a livello di proporzione fra il numero dei detenuti e quello degli operatori penitenziari.

Abbiamo parlato di sanzioni comminate allo stato ungherese per motivi riguardanti il sistema carcerario; il riferimento particolare è alla sentenza pilota del marzo 2015 con la quale la seconda sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accoglieva all’unanimità il ricorso per violazione degli articoli 3 e 13 CEDU sollevato da sei detenuti e “condannava l’Ungheria a corrispondere somme comprese fra 5.000 e 26.000 euro a titolo di danno non patrimoniale. Sei cittadini ungheresi detenuti dal 2006 in diverse carceri del paese e in celle nelle quali avevano a disposizione uno spazio vitale compreso fra 1,5 e 3,3 metri quadrati. Le loro denunce comprendevano anche la mancanza di separazione fra le toilette e lo spazio restante delle celle, più i problemi igienici già menzionati, la scarsità di lenzuola pulite, la difficoltà di utilizzare le docce e il poco tempo da passare fuori dalle celle.

Nel 2020 la quota di detenuti nel paese era già molto alta, e ha continuato ad aumentare in misura maggiore che altrove; questo è successo anche in Polonia ma, a quanto pare, con cifre meno alte che in Ungheria.

È un quadro sconfortante, senza dubbio. Ma torniamo alla nostra connazionale: Ilaria Salis, che dall’inizio si è dichiarata non colpevole, è in attesa della prima udienza prevista per il 29 gennaio prossimo. Ce n’è anche per Gabriele Marchesi, 24 anni, pure accusato di aver partecipato alle aggressioni ai danni di neonazisti nel febbraio scorso.

Il giovane è ai domiciliari in Italia e l’Ungheria lo vorrebbe nelle sue carceri ma la procura è contraria alla sua consegna sia per la “tenuità del fatto contestato”, sia per i dubbi sul sistema detentivo ungherese. Così, la sua situazione e le prospettive che lo attendono sono oggetto di approfondimento. L’auspicio è che si faccia tutto il possibile per portare via Ilaria Salis da quell’inferno e impedire che Marchesi ci finisca a sua volta.