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Undici mesi d’inferno in carcere a Budapest: «E il governo sta zitto»

Undici mesi d’inferno in carcere a Budapest: «E il governo sta zitto»

Il caso Ilaria Salis Il padre: «Dai ministeri nessuna risposta, mi prendono in giro». Nasce un comitato. Tajani tentenna: «Non siamo noi i giudici»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 11 gennaio 2024

Sono undici mesi che la 39enne Ilaria Salis è detenuta a Budapest, in attesa della prima udienza del processo che la vedrà imputata per l’aggressione a due neonazisti. L’appuntamento in tribunale è fissato per lunedì 29 gennaio. In tutto questo tempo il governo italiano è restato in silenzio: non una parola per una concittadina reclusa in condizioni tremende in un paese il cui sistema carcerario preoccupa anche le istituzioni europee. «Ho scritto a più riprese alla presidente del consiglio, al ministro della giustizia, a quello degli esteri, ai capigruppo di Camera e Senato – racconta Roberto Salis, padre di Ilaria -. Non ho mai ricevuto risposte tranne una volta. La Farnesina mi ha fatto sapere che Ilaria starebbe ricevendo ogni assistenza necessaria. Ma di che assistenza parliamo dal momento che le condizioni di mia figlia sono terribili? Lo definirei un bel modo per prendere in giro gli italiani».

LE CONDIZIONI di cui parla il signor Salis sono state rese note qualche mese fa da una lettera scritta da Ilaria al suo avvocato Eugenio Losco: condizioni igieniche tremende, cimici, topi, scarafaggi, trasferimenti in catene, una dotazione mensile di 100 milligrammi di sapone, quattro pacchi di carta igienica e un ciuffo di cotone per il ciclo mestruale. «La sua situazione è grave e preoccupante – aggiunge Ilaria Cucchi -, Ilaria sta ricevendo un trattamento non degno di un essere umano. Lei non chiede di essere liberata ma di scontare la sua pena qui, in un Paese ancora civile e democratico. La nostra battaglia non finisce ma inizia qui. Il governo finora non ha fatto nulla per lei. Meloni dovrebbe ricordarsi che Ilaria è individuo e come tale va tutelata come ogni altro. Noi non vogliamo pensare che ci siano ragioni politiche dietro questi silenzi». Per questo si è costituito un comitato per la detenuta italiana: attirare l’attenzione su un caso che forse non preoccupa quanto dovrebbe.

Intercettato dai cronisti mentre usciva da Montecitorio, ieri pomeriggio il ministro degli esteri Antonio Tajani ha provato a ridimensionare la faccenda, ma le sue frasi sono di pura circostanza, il minimo sindacale. «Il compito dell’ambasciata è seguire le persone italiane che sono detenute. Se c’è un procedimento penale noi ci battiamo affinché ci siano tutte le garanzie legali. L’ambasciata ha sempre seguito la vicenda. Dalle notizie che ho sempre avuto da Budapest c’è stata una presenza costante della nostra rappresentanza diplomatica. Noi seguiamo tutti gli italiani che hanno problemi ma non siamo noi i giudici e non possiamo fare assolvere un cittadino italiano detenuto se non ci sono le condizioni». Oggi, al question time del Senato, il capogruppo di Avs Peppe De Cristofaro interpellerà su questa vicenda il guardasigilli Carlo Nordio: «Gli chiederò di attivarsi immediatamente perché Ilaria Salis venga trasferita subito nel nostro paese per scontare gli arresti domiciliari, come previsto dalla normativa europea».

Salis è accusata di aver aggredito insieme ad altre persone due neonazisti accorsi a Budapest lo scorso 11 febbraio per celebrare il Giorno dell’orgoglio, lugubre appuntamento in cui si commemora la memoria di un gruppo di SS che nel 1944 venne ucciso dall’Armata Rossa. L’occasione, ogni anno, richiama nostalgici hitleriani da mezza Europa. «Le lesioni dei due feriti – racconta Losco – sono guarite rispettivamente in sei e in otto giorni, in Italia si tratterebbe di lesioni lievi. Un reato per il quale è difficilissimo che si finisca in carcere».

IN UNGHERIA la donna di anni ne rischia fino a sedici e già le è stato proposto di patteggiare a undici. Il problema, per i giudici di Budapest, è che le ferite sarebbero state potenzialmente mortali. Una conclusione che però stride, e non poco, con la prognosi effettiva, certificata anche da periti ungheresi. Poi c’è un’altra accusa: Salis farebbe parte della Hammerbande, un gruppo tedesco che sarebbe responsabile di diverse aggressioni a neonazisti in tutta l’Europa. A quanto si capisce dalle carte giudiziarie, in ogni caso, il legame dell’italiana con la Hammerbande non sarebbe provato e lei continua a professarsi innocente. «La prima volta che sono riuscito a mettermi in contatto con mia figlia è stato lo scorso 6 settembre», spiega Roberto Salis. Nei mesi precedenti Ilaria era stata sostanzialmente inghiottita dal carcere, senza alcuna possibilità di comunicare verso l’esterno. «È come se l’avessero messa al 41 bis», sostiene Losco.

ENTRO OGGI il tribunale di Budapest dovrebbe fornire alla Corte d’appello di Milano un approfondimento sulla situazione delle carceri ungheresi per un altro caso collegato a quello di Ilaria Salis. Al centro c’è Gabriele Marchesi,24 anni, pure accusato delle aggressioni dello scorso febbraio. A novembre il giovane è stato arrestato e poi messo ai domiciliari. La procura si è espressa contro la sua consegna all’Ungheria, sia per la tenuità del fatto contestato sia per alcuni dubbi proprio sul sistema di detenzione di quel paese. Così i giudici hanno preso tempo per approfondire il tema e attendono le carte dai colleghi magiari.

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