A sinistra, la giustizia
A 84 anni ancora da compiere, Peppino Di Lello osserva le cose del mondo da Palermo. In Sicilia ci è arrivato oltre mezzo secolo fa: pretore ad Alia, il primo incarico. Poi giudice istruttore del pool antimafia di Antonino Caponnetto con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, senatore, deputato ed europarlamentare di Rifondazione Comunista. E firma nota ai lettori del manifesto, con cui collabora dal 1989. Gli chiediamo di fare due chiacchiere, la scusa è il sessantennale di Magistratura democratica, la corrente delle toghe rosse (definizione che però non ama: «Lasciamolo dire alla destra») di cui ha fatto parte per tanto tempo. «Ma è più di trent’anni che sono lontano, non so bene né cosa è successo né cosa succede», dice con buona inclinazione meridiana. Gli rispondiamo che spesso la distanza è il modo migliore per mettere a fuoco le cose.
«Sono entrato in Magistratura democratica negli anni ’70, quando la corrente si era appena costituita. I miei referenti erano Mario Barone, Franco Marrone, Marco Ramat… Allora c’era un vero problema di indipendenza, sia all’interno della magistratura sia rispetto alla politica. Il Csm si eleggeva con il sistema maggioritario e questo portava la destra di Magistratura indipendente a prendere tutti i seggi pur essendo una minoranza. Questo, va da sé, aveva delle ripercussioni: i capi degli uffici erano tutti reazionari e combattevano strenuamente ogni idea progressista».
Poi nel 1975 arriva il sistema proporzionale…
E le cose cambiano. Non solo perché emergono le correnti cosiddette di sinistra, ma anche perché arriva una nuova generazione di magistrati che non voleva essere serva del potere. Prima la magistratura veniva tollerata solo se era al passo dei desideri del governo, anzi ne doveva proprio condividere il programma e difendere le aspirazioni. A Roma, per esempio, gli uffici giudiziari erano permeati dall’andreottismo e tutti erano protesi a difendere il sistema. Quando Md comincia ad avere una sua rilevanza tra i magistrati finalmente si comprende che la Costituzione non è una carta programmatica, ma un valore di cui bisogna tenere conto nell’interpretazione.
Si parlava di «uso alternativo del diritto».
Una formula un po’ infelice, a dirla tutta, perché sembrava che volessimo applicare un diritto inventato da noi, invece si intendeva dire che il diritto dovesse essere costituzionalmente orientato. Poi ci sono stati dei cataclismi politici e sociali: il terrorismo, la mafia, Mani pulite… Md ha avuto un ruolo importante a difesa dei diritti e delle garanzie e questo ha portato ad vere alcuni contrasti, anche interni, ma alla fine ci siamo sempre trovati dalla parte delle minoranze.
Gli scontri tra politica e magistratura erano frequenti e molto duri.
Ricordo quando Cossiga, nel 1985, voleva riformare la giustizia mandando i carabinieri al Csm… Lì il vicepresidente era un Dc, Giovanni Galloni. Fummo fortunati perché lui sposò la causa dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Ci aiutò molto. Oggi invece vedo che il vicepresidente del Csm dimentica persino di rappresentare il presidente della Repubblica. Una cosa fuori dal mondo.
Ecco, non ti sembra che ci sia anche adesso un tentativo di portare le toghe sotto il controllo dell’esecutivo?
Questo governo sembra voler riportare indietro il tempo, in effetti. Dicono: noi siamo eletti e il parlamento detta legge, la magistratura deve semplicemente applicare ciò che decidiamo. Era anche l’impronta di Berlusconi e di Andreotti. Siamo tornati al doppio fronte per la magistratura: ce n’è uno interno con ampie fette molto a destra, anche se non necessariamente schiacciate sulle richieste governative, e poi c’è l’esecutivo che vorrebbe liberarsi della giurisdizione. Non riescono a capire che ci sono dei limiti e delle regole che valgono per tutti. Anche per Salvini.
Non riescono a capire o non vogliono farlo?
Ovviamente non vogliono capire. Guardiamo al nostro Guardasigilli. Quando scriveva per i giornali faceva il garantista, poi si è intrufolato in una maggioranza di destra e sta garantendo il peggior periodo di restrizione dei diritti da tanto tempo a questa parte. Io ho sempre pensato che servirebbero delle depenalizzazioni, sono sempre stato contro lo Stato etico e per lo Stato di diritto. Il governo mi pare vada in una direzione opposta. Addirittura, dopo decenni passati a combattere perché il carcere possa diventare, se così si può dire, più umano, sono riusciti a inventarsi dei reati anche per la resistenza dei detenuti con pene assurde. Abbiamo un esecutivo non voglio dire fascista, ma di sicuro post fascista.
Di Nordio come magistrato che idea avevi?
Non ne sapevo nulla. Ignoravo la sua esistenza.
La grande battaglia del governo contro la giurisdizione sembrerebbe essere la riforma che separa la carriera dei magistrati giudicanti da quelli requirenti.
È una cosa che fa paura. Vorrebbero creare un gruppo, quello dei pm, completamente autoreferenziale, con un suo Csm e poteri enormi fuori da ogni controllo. È ovvio che, dopo aver sperimentato questa fase, arriverà una proposta ulteriore: sottoporre i pm al potere dell’esecutivo. In ogni sistema in cui vige la separazione delle carriere ci si difende assegnando al Guardasigilli un potere di controllo. Andrà a finire così pure in Italia. Poi parliamo di una riforma che non serve a niente, sia perché il passaggio da una funzione all’altra è ormai minimo, sia perché non incide sulla velocità dei processi e sull’efficienza della magistratura. È un’opera puramente propagandistica.
Il Giornale propone di intitolare la riforma a Giovanni Falcone, perché, dicono, lui era favorevole alla separazione.
Falcone era favorevole all’autoregolazione della magistratura. Diceva: pensiamo a come possiamo organizzarci prima che ci pensino gli altri. Peraltro lui parlava in un momento di transizione dal vecchio sistema inquisitorio, completamente incostituzionale, a quello accusatorio, con il pm a garanzia. Falcone voleva maggiore professionalità. Del resto è quello che hanno fatto lui e Borsellino: applicare alle inchieste una grandissima professionalità, che prima non esisteva nella maniera più assoluta. I pm erano dei burocrati, in pratica. Dopo Falcone e Borsellino si è scoperto un modo nuovo di fare inchiesta, senza però aggiungere né togliere niente ai codici.
Come vedi la situazione dell’antimafia?
Al giorno d’oggi mi pare che i metodi d’indagine sulla mafia abbiano contaminato tutte le procure: c’è un controllo serio e rigoroso, anche se la mafia ha cambiato pelle e si è intrecciata con la corruzione. Poi a livello politico è chiaro che succedono tante cose, a volte strumentali… Al di là di tutto, come si può pensare di escludere dalla Commissione parlamentare antimafia Scarpinato e Cafiero de Raho? Sono parlamentari e hanno delle prerogative chiare. Farli fuori sarebbe di un’incostituzionalità palese.
E quella delle correnti?
Mi pare che, con tutti questi attacchi del governo, sia tornata la voglia di discutere più di giurisdizione che di pretese sindacali, ed è un fatto positivo. Le correnti sono un fattore di democrazia: si possono pure separare le carriere, ma non si può fare lo stesso con le correnti.
Cosa servirebbe oggi alla giustizia?
Basterebbe fare il contrario di quello che si sta facendo adesso. Servono una pesante depenalizzazione e una ristrutturazione degli organi burocratici dei tribunali.
Però su depenalizzazioni, e più in generale sulle misure di clemenza, anche la sinistra non pare proprio favorevole.
Siamo in una situazione in cui sulla giustizia si saldano opposti estremismi: il M5s con la Lega, ad esempio. I partiti di sinistra purtroppo seguono a ruota per paura: quando il ministro Andrea Orlando provò a cambiare un po’ le cose, alla fine fu lo stesso Pd ad affossare le sue proposte. Temevano che il garantismo e la difesa dei diritti gli avrebbe fatto perdere consensi. Ma poi li hanno persi lo stesso.
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