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Con l’iniziativa di Pechino l’Asia torna al centro del mondo

Con l’iniziativa di Pechino l’Asia torna al centro del mondoIl presidente vietnamita Vo Van Thuong e quello cinese Xi Jinping – Ap

Cina Come nel gioco del Weiqi, per la terza volta come numero uno, Xi Jinping si è recato in Vietnam. Tre mesi dopo Biden che ha strappato ad Hanoi una «partnership strategica»

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 14 dicembre 2023

Henry Kissinger, l’artefice della politica estera Usa degli anni ’70 e non solo, celebrato come «grande vecchio amico» dalla Cina alla sua morte avvenuta a fine novembre, sosteneva che la strategia cinese nelle relazioni internazionali fosse governata dal gioco del weiqi (che noi conosciamo di più con il nome giapponese del “go”).

Siamo di fronte a una vistosa semplificazione che però ci aiuta pur sempre a immaginare le mosse cinesi su una tavola (la scacchiere del weiqi si chiama qipan) ben più ampia di quella che talvolta immaginiamo noi occidentali. Weiqi significa «il gioco dell’accerchiamento» e la strategia del gioco consiste proprio nell’accerchiare territori («costruire mondi» come dicono i giocatori di weiqi) e nel non farsi accerchiare.

Ed ecco quindi che dopo l’incontro tra Ue e Cina, mentre in Italia guardavamo preoccupati a come la Cina avrebbe reagito all’uscita ufficiale di Roma dalla Via della Seta, ecco che Pechino ci ricorda quali sono le sue priorità: per la prima volta dopo sei anni, ma per la terza volta da quando è il numero uno, Xi Jinping si è recato in Vietnam. È una visita molto rilevante, che arriva tre mesi dopo quella di Joe Biden che ha strappato al Vietnam un accordo di «partnership strategica» che fino ad allora Hanoi, guidata da un partito comunista tanto quanto Pechino, aveva riservato solo a Cina, Russia e Corea del Nord. Normale dunque la preoccupazione cinese di recuperare subito terreno tenendo conto di alcuni fattori: in primo luogo quello strategico e poi quello più commerciale.

Da un punto di vista strategico la Cina teme che il Vietnam (che ha sconfitto in guerra sia Stati Uniti sia Cina e che da sempre ha un approccio fieramente indipendente) possa sostenere un «accerchiamento» statunitense nell’area. Per questo Xi Jinping ha scritto un commento per il quotidiano vietnamita “Nhan Dan” suggerendo che la costruzione di una «comunità dal destino comune» (una delle espressioni che costituiscono un classico ormai di Xi Jinping) tra Cina e Vietnam avrebbe «significati strategici in tutte le aree delle relazioni bilaterali». Il Vietnam, come ha scritto Khang Vu su The Diplomat “alla fine ha approvato la formula sebbene abbia tradotto comunità dal destino comune in «comunità di futuro condiviso», accettando di fatto un update della sua relazione con Pechino.

Ma d’altronde Hanoi da tempo si muove secondo la logica del «tanti amici nessun nessun nemico», rappresentando alla perfezione quella postura dei paesi asiatici di fronte alla frizione globale tra Cina e Stati Uniti: nessuno vuole prendere parte a una crociata e tutti ribadiscono la necessità di continuare a fare affari con Pechino e Washington senza precludersi alcuna strada. La mossa di weiqi di Xi Jinping, per leggerla alla Kissinger, è dunque un tentativo di evitare un accerchiamento strategico da parte di un paese che con la Cina ha da sempre relazioni complicate e ambigue, non sempre di completa fiducia.

Da un punto di vista commerciale la rilevanza del Vietnam sta nelle sue risorse, specie le terre rare: per questo Pechino sta spingendo per la firma di un numero piuttosto corposo di accordi bilaterali che finiranno per coinvolgere anche il progetto della Nuova via della seta. I media statali vietnamiti hanno riferito che i due paesi dovrebbero firmare «dozzine» di accordi riguardanti «la difesa e la sicurezza nazionale, la cooperazione marittima, il commercio, gli investimenti, le esportazioni agricole e altri settori».

Xi Jinping, per essere più preciso, come riporta il Financial Times, «ha elencato le aree di cooperazione commerciale della Cina con il Vietnam, inclusa la linea 2 della metropolitana di Hanoi, un progetto che secondo quanto riferito ha ricevuto prestiti nell’ambito del programma infrastrutturale della Belt and Road di Pechino. Xi ha sottolineato anche il lancio di treni transfrontalieri tra i due paesi, la costruzione di porti e la costruzione di un «cluster dell’industria fotovoltaica da parte di aziende cinesi in Vietnam».

Sullo sfondo, ovviamente, ci sono anche questioni militari che insistono sulle complicate relazioni a proposito delle zone di mare conteso tra i due paesi (non sono mancati incidenti, anche gravi): per The Diplomat «da quando il Vietnam ha normalizzato i rapporti con la Cina nel 1991, dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la soluzione del pantano cambogiano, Hanoi ha adottato esplicitamente una politica di garanzia nei confronti della Cina» basata su due principi: dare sempre priorità alle relazioni con Pechino e migliorare i rapporti con la Cina.

In questo senso «la politica di garanzia del Vietnam ha un solo scopo, ovvero quello di dissuadere la Cina dall’invadere o costringere il Vietnam attraverso la minaccia dell’uso della forza. Hanoi non vuole che si ripetano i disastrosi scontri degli anni ’70 e ’80», quando la Cina attaccò il Vietnam a seguito della sua invasione della Cambogia. Una guerra breve che costituì una sconfitta per la Cina che cercava una travagliata uscita dal maoismo.

Ma la visita di Xi è anche un monito, o un consiglio forse, per noi europei che continuiamo a percepirci al centro del mondo all’interno di una scacchiera limitata: la Cina ci ricorda che non è così e che l’Asia rimane il suo campo d’azione privilegiato, in quanto potenza regionale, prima che potenziale paese egemone a livello mondiale.

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