Il caso dei panda contesi fra America e Cina, con gli animali trasformati in «mediatori diplomatici», strumenti inconsapevoli di tattiche politiche nello scacchiere mondiale, risveglia gli echi di storie antiche. E riconduce alla mente gli innumerevoli viaggi strategici – per mare, fiumi e deserti – di esemplari esotici che vagavano per l’Europa (pur se provenienti dall’Oriente o dall’Africa) oltre cinquecento anni fa, destinati anch’essi a diventare protagonisti indiscussi, «doni viventi» per rendere proficue le relazioni fra re, principi, papi e sultani.

I SERRAGLI DI CORTE, allestiti in regge e giardini magnificenti, furono una vera e propria mania, ma soprattutto i loro abitanti, il bestiario (con specie spesso sconosciute ai più) che vi si aggirava, serviva sia per allietare il popolo con spettacoli itineranti sia per ingraziarsi il personaggio più influente di turno, siglando patti o aprendosi strade ambite nei commerci.
Fu così che proprio a metà di un lontano novembre (1487) giunse a Firenze, insieme ad altri sventurati compagni di viaggio, uno stranissimo animale che i Romani apprezzavano già ma di cui si era perduta memoria: aveva un collo fuori misura, un manto leopardato e delle assurde piccole corna ai lati delle orecchie. Era una giraffa, destinata a Lorenzo il Magnifico e condotta in Italia da Mohamed Ibn-Mahfuz, ambasciatore del sultano d’Egitto che voleva spingere il potente personaggio dalla sua parte a discapito degli Ottomani.
La diplomazia affidata alla povera giraffa ebbe però durata effimera: riparata nelle stalle di Poggio a Caiano, l’esemplare non riuscì a sopravvivere a lungo. Ci si misero di mezzo le rigide temperature invernali (a nulla servì tentare di riscaldare gli ambienti), ma le cronache raccontano anche che si spezzò il collo incastrandolo tra le travi del tetto. Ai primi di gennaio morì, con grande sconforto dei fiorentini tutti (e delle monache di clausura, che la ammirarono nei loro conventi dove veniva portata in visita). A renderla imperitura ci pensarono poeti come Poliziano e altri artisti: la vediamo, infatti, avanzare elegantemente in processione nell’Adorazione dei Magi di Domenico Ghirlandaio.
Un altro «beniamino» della politica fatta sulle spalle di viventi ignari fu Ulisse (così ribattezzato dai marinai che lo accolsero a bordo, in realtà si chiamava Ganda, data la sua provenienza indiana). È il rinoceronte della celeberrima xilografia di Dürer (1515), interpretato dall’artista con un po’ di fantasia (lo disegnò seguendo le indicazioni di una lettera, mai vedendolo). Dopo quattro mesi di navigazione, il primo maggio 1515 giunse a Lisbona da Goa la nave Nossa Senhora de Ajuda. Fra le sue «merci» più pregiate, c’era Ulisse, anch’esso animale conosciutissimo ai tempi di Plinio il Vecchio ma in seguito dimenticato.

ERA UN REGALO PER IL RE del Portogallo Manuel I. Ma il sovrano, dopo averlo esibito a dovere (non mancò un combattimento con un elefante, alla maniera dei Romani), lo fece reimbarcare alla volta di Leone X, pontefice della famiglia dei Medici. L’atto strategico per ingraziarsi con più «entrature» lo stato pontificio – l’anno prima, sempre Manuel I, aveva inviato dal Portogallo Annone, un elefante albino ammaestrato in grado di danzare, vera star dell’arte raffaellesca – non ebbe fortuna. La nave naufragò vicino La Spezia e il rinoceronte Ulisse, sebbene la sua specie indiana sapesse nuotare, affogò: aveva le zampe legate. Si narra che in un secondo tempo fosse impagliato e inviato ugualmente al papa. Poi, forse, i suoi resti andarono dispersi nel Sacco di Roma.