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Clima, la rivoluzione di Strasburgo

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Clima Svizzera, Portogallo e Francia: tre verdetti della Corte europea dei diritti dell’uomo sanciscono l’indifferibilità delle azioni statali per contrastare il riscaldamento globale

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 10 aprile 2024

La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo di riconoscere all’associazione elvetica «Anziane per il clima» il diritto di presentare un reclamo in merito alle minacce derivanti dal cambiamento climatico nel caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri contro Svizzera è estremamente rilevante. Anche perché va ricordato che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) non ammette reclami in astratto contro norme di legge o prassi amministrative che non incidano, in modo diretto o indiretto, o anche potenziale, sui diritti del soggetto che presenta il ricorso (actio popularis).

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che il cambiamento climatico sia una questione di interesse comune per l’umanità e che la necessità di promuovere la condivisione degli oneri intergenerazionali porti a considerare il ricorso a organismi collettivi quale unico mezzo accessibile per difendere efficacemente interessi particolari. La Corte di Strasburgo ha dunque stabilito che la Svizzera non ha adempiuto agli obblighi («positivi») sanciti nell’articolo 8 Cedu, norma che deve essere considerata come comprendente il diritto degli individui a un’effettiva protezione da parte delle autorità statali dai gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita.

Se dunque si rilevano azioni statali inadeguate per combattere il cambiamento climatico che aggravano i rischi di conseguenze dannose (e le conseguenti minacce per il godimento dei diritti umani) si pone in essere un illecito omissivo, ben più difficile da accertare: è un gran successo quindi che la Corte lo faccia individuando il rapporto di causalità fra l’inazione dello Stato relativa al cambiamento climatico e i danni, o il rischio di danni.

Stabilito un ruolo centrale per i tribunali: dovranno verificare che i governi stiano facendo abbastanza per tutelare anche in questo campo i diritti fondamentali dei cittadini

Sulla nozione di vittima si basa invece il rigetto nel caso Carême contro la Francia in cui l’ex sindaco di Grande Synthe accusava la Francia di non aver adottato misure sufficienti per scongiurare il rischio che la cittadina venga sommersa dalle acque del Mare del Nord. La Corte ha ritenuto che il ricorrente non ne avesse lo status, perché non è più residente in quel comune, né ha legami sufficientemente rilevanti con la città, non vivendo attualmente neppure in Francia.

Infine, nel caso dei ragazzi portoghesi, forse il più noto, anche per la numerosità degli Stati convenuti, fra i quali il nostro, la Corte non è entrata nel merito della posizione rivendicata dai ricorrenti in quanto ha ritenuto il ricorso irricevibile perché i sei giovani non avevano utilizzato le vie giudiziarie e amministrative disponibili in Portogallo per presentare le loro denunce e non avevano quindi esaurito i mezzi di ricorso interni. Va infatti ricordato che il meccanismo di salvaguardia instaurato dalla Convenzione assume un carattere sussidiario rispetto ai sistemi nazionali di tutela dei diritti dell’uomo.

I tre verdetti vanno quindi in un’unica direzione: quella della rilevanza delle cause climatiche e della indifferibilità delle azioni statali volte a contrastarne gli esiziali esiti. In modo plateale nel caso contro la Svizzera, dato l’accoglimento del ricorso, ma anche in quello dell’ex sindaco di Grande Synthe, perché va ricordato che il Consiglio di Stato francese aveva accolto il ricorso del piccolo comune costiero, accordandogli un risarcimento oltre a ingiungere allo Stato di adottare ulteriori misure volte al contrasto del cambiamento climatico, nonché nel caso dei ragazzi portoghesi perché aver detto che il ricorso è – oggi – irricevibile per motivi procedurali, rappresenta solamente una sorta di rinvio a quando, adite le competenti autorità giudiziarie lusitane, queste si pronunceranno.

E sarà comunque una vittoria: perché o queste ultime si parametreranno a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo nella sentenza in cui si condanna per inazione la Svizzera, oppure negheranno la bontà di questo approccio ma, in tal caso, i giovani ricorrenti potranno nuovamente rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo che, ça va sans dire, si esprimerà presumibilmente a sfavore del Portogallo.

L’impatto a cascata, quasi un effetto domino, di queste sentenze, che enfatizzano il ruolo cruciale dei tribunali (nazionali, regionali e internazionali) nell’esaminare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e quindi per salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini, lo vedremo nelle capacità dei legislatori dei 46 Paesi membri del Consiglio d’Europa, per i quali le sentenze della Corte di Strasburgo costituiscono un precedente, di prenderne atto e di intervenire di conseguenza in modo efficace per far fronte ai propri impegni climatici. Rispettando la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas climalteranti, necessaria per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030.

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