Le elezioni presidenziali di oggi in Venezuela avranno un enorme peso politico in tutto il continente americano. Lo dimostra la grande pressione internazionale, specialmente sul governo bolivariano e sul suo candidato, Nicolás Maduro.
Tutti i grandi mass media internazionali si sono sbilanciati nel presentare inchieste di enti e organizzazioni più o meno indipendenti (spesso meno che più) che danno per certa la vittoria del candidato dell’opposizione, l’ex diplomatico Edmundo González Urrutia, in rappresentanza di varie organizzazioni riunite nella Plataforma Unitaria. La loro tesi è che una vittoria del Gran Polo Patriótico Simón Bolívar è possibile solo mediante una frode. E in caso di vittoria dell’opposizione paventano una «situazione di violenza», fino a una possibile guerra civile.

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L’incertezza dell’esito del voto è reale. Per la prima volta dal 2013 l’opposizione si è presentata con un proprio candidato unitario e ha svolto la sua campagna senza episodi di violenza. Fino a oggi dunque vi è stata una competizione elettorale vera. Dopo 25 anni di ininterrotto “chavismo”, con una sua progressiva burocratizzazione e dopo aver subito pesanti sanzioni internazionali che hanno pesato soprattutto sulla qualità della vita della popolazione, la mobilitazione dell’opposizione ha in qualche modo permeato le basi sociali nelle quali il “chavismo” era egemonico. Quanto, lo si vedrà nell’esito del voto di oggi. Se però Maduro conserva o recupera il suo zoccolo duro dei tempi migliori può vincere, anche se del socialismo di Chavez resta ben poco.

Nonostante le inchieste sbandierate dall’opposizione e dai principali mass media internazionali solo due dei dieci candidati in lizza si sono rifiutati di firmare un accordo che impegnava al rispetto dei risultati del voto di oggi, proposto dallo stesso Maduro. Uno è stato González Urrutia. E non vi è da stupirsi. La vera leader dell’opposizione è María Corina Machado, rampolla di due grandi e ricche famiglie venezuelane, rappresentante della destra più dura che nelle più di due dozzine di elezioni svoltesi durante il governo bolivariano ne ha riconosciuto come «pulita», una sola. Quella vinta dall’opposizione nel 2015. In compenso si è schierata nel 2002 a favore del golpe di Carmona contro Chavez. E, neanche a dirlo, a favore dell’ “autoproclamato” (dagli Usa) presidente Juan Guaidó e di pesanti sanzioni contro il governo del Venezuela.

Indubbiamente anche per il presidente Maduro, che si è lanciato in una battente campagna elettorale e che è soggetto a sanzioni degli Usa che di fatto lo rendono un ricercato, sarà difficile accettare una sconfitta. Tanta è però la propaganda internazionale contro di lui e un suo paventato rifiuto di accettare il verdetto delle urne che persino uno sperimentato “animale politico” come Lula è intervenuto per ammonirlo: «Se perdi te ne devi andare» e preparare una riscossa dall’opposizione, ha reso pubblico il presidente brasiliano, che si sente sempre più accerchiato dalla destra continentale.
Seicento osservatori internazionali, tra i quali quelli del Centro Carter e un gruppo di esperti dell’Onu, sono incaricati di verificare il processo elettorale. Mancano è vero quelli dell’Ue, rifiutati dal governo bolivariano, ma vi è da sperare che siano sufficienti per evitare velenose e pericolose polemiche e contestazioni violente post voto. Quelle che i grandi mass media indicano come il “vero pericolo” della votazione di oggi.

Vi è invece da sperare in uno svolgimento democratico nel quale le forze sconfitte accettino il risultato, come ha raccomandato il presidente colombiano Gustavo Petro. L’anno prossimo vi saranno elezioni importanti, nelle quali verranno eletti sia il Parlamento che sindaci, governatori e in generale tutte le maggiori istituzioni. Un campo elettorale politico nel quale il perdente di oggi avrà spazio per recuperare.

Dicevamo dell’enorme peso politico delle elezioni venezuelane negli equilibri geopolitici, soprattutto dell’America latina, se vincerà l’opposizione che presenta un programma liberista di privatizzazioni selvagge. Buona parte delle conseguenze dipenderà dalla reazione degli Stati uniti, sempre più impegnati a riallineare il “cortile di casa” di fronte a una preoccupante penetrazione della Cina ( in minor grado della Russia).

Il Pentagono si è già schierato. La generalessa Laura Richardson, responsabile del Comando sud Usa, ha proposto un <> per contenere Pechino nel subcontinente latinoamericano. E il primo intervento preventivato è proprio a favore di una “ricostruzione” del Venezuela in caso di vittoria di Corina Machado. Quale sarà la reazione della Casa bianca rappresenterà uno dei banchi di prova della candidata (in pectore fino ad agosto) democratica Kamala Harris.

Per Cuba la vittoria dell’opposizione venezuelana aggiunta al possibile, e forse probabile, ritorno di Trump alla Casa bianca rappresenta uno scenario da incubo. Ben poche alternative resterebbero al governo del presidente Díaz-Canel se non stringere ulteriormente le relazioni con la Russia. Ben sapendo che il presidente Putin non è interessato a sostenere un’isola socialista quanto ad acquisire una posizione geostrategica vicino agli Usa.