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Maduro imbocca la via autoritaria, mandato d’arresto per Urrutia

Maduro imbocca la via autoritaria, mandato d’arresto per UrrutiaEdmundo González Urrutia Ap

Venezuela Una procura a caccia del candidato della destra che dice di aver vinto le elezioni

Pubblicato circa un mese faEdizione del 4 settembre 2024

Il mandato d’arresto per Edmundo González Urrutia era nell’aria già da un po’. Al suo terzo atto di disobbedienza nei confronti del Tribunale superiore di giustizia (Tsj), che lo aveva convocato per tre volte di fila senza ottenere alcuna risposta, era scontato che la Procura nazionale prendesse provvedimenti.

Che l’ordine di arresto si concretizzi, però, appare assai meno scontato. Non solo perché González, così come la leader della Piattaforma unitaria di destra María Corina Machado, vive ormai in una sorta di clandestinità, ma anche perché si suppone che il presidente Nicolás Maduro – a cui la condanna di Argentina, Costa Rica, Guatemala, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay risulta probabilmente indolore – non sia interessato a realizzare un ulteriore strappo con gli alleati di un tempo, a cominciare dal Brasile di Lula.

Già il mandato d’arresto emesso ieri da una procura nazionale – per i reati di usurpazione di funzioni, istigazione alla disobbedienza delle leggi, reati informatici, associazione a delinquere e falsificazione dei documenti, cioè dei verbali pubblicati sulla pagina web resultadosconvzla.com – è apparso al governo Lula «un pessimo segnale»: la decisione, ha detto alla Cnn il consigliere speciale del presidente per gli affari internazionali Celso Amorim, «rende tutto più difficile», allontanando una soluzione negoziata con il sostegno di Brasile e Colombia. Ma ancora una volta Amorim non ha voluto rompere: «Seguo il ritmo della bossa nova. Noi non alziamo la voce».

A oltre un mese dalle presidenziali del 28 luglio, tuttavia, il governo Maduro si è posto ufficialmente al di fuori della legge, violando l’articolo 155 della Ley Orgánica de Procesos Electorales che lo obbligava a pubblicare i risultati sulla Gazzetta ufficiale entro 30 giorni dalle elezioni, come tra l’altro aveva amichevolmente invitato a fare – senza precisare ovviamente in che forma – persino il Tsj. E nessuna spiegazione è stata data, non essendo evidentemente possibile che la Gazzetta ufficiale subisca anch’essa un attacco hacker.

Ma imboccata ormai con decisione la strada dell’autoritarismo, Maduro non ha più intenzione di spiegare niente a nessuno. Tanto più che, se le sanzioni di Usa e Ue si sono rivelate, oltre che sbagliate, persino controproducenti, il sostegno di Cina e Russia e dei loro più stretti alleati sottrae il governo bolivariano all’isolamento internazionale, consentendogli di mandar giù persino il boccone amaro del mancato riconoscimento di Lula e del presidente colombiano Petro (e anche del messicano López Obrador, riavvicinatosi su questo terreno ai due colleghi sudamericani).
Neppure le proteste interne rappresentano più una preoccupazione per Maduro. Se la repressione messa in atto congiuntamente dalla polizia e dalla giustizia – accompagnata dalla designazione del temibile Diosdado Cabello come ministro degli interni, della giustizia e della pace – ha sortito l’effetto di smobilitare la popolazione, il governo può ora tranquillamente dedicarsi al compito di trasmettere una sensazione di pacifico ritorno alla normalità.

E proprio in questa direzione si pone l’annuncio da parte di Maduro, lunedì sera in diretta televisiva, di un anticipo del Natale al primo ottobre: una misura a cui il presidente era ricorso più di una volta in passato, anche se non così presto (lo scorso anno l’avvio alle feste era stato dato il primo novembre). «Il Natale inizia per tutti l’1 ottobre e quest’anno è arrivato con la pace, la gioia e la sicurezza» ha dichiarato Maduro, che certo elargirà per l’occasione nuovi bonus sociali, ma non quell’aumento dei salari che la popolazione attende con ansia da due anni.

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