Internazionale

La Bestia dei migranti

La Bestia dei migranti

Messico E’ il treno che attraversa il Paese portando migliaia di disperati verso il confine con gli Stati uniti. Quattro giorni fa è deragliato mettendo fine al sogno americano

Pubblicato circa un mese faEdizione del 7 settembre 2024

La Bestia è tornata a uccidere. Il treno merci che attraversa da sud a nord il Messico aveva iniziato il suo cammino da Chihuahua verso il confine con gli Stati Uniti. Trasportava acido solforico, cloro … e migranti. Tra loro, Josué e Ruth e i due figli di 4 e 7 anni. Erano partiti mesi fa dal Venezuela con l’obiettivo di raggiungere «il sogno americano», come lo definisce Josué. Intorno alle 22 di martedì 3 settembre, nel tratto che porta a Ciudad Juárez, in pieno deserto nella zona di Ahumada, «iniziamo a sentire un rumore metallico. Vediamo delle scintille. All’improvviso, è crollato tutto». Il treno deraglia. I convogli escono dai binari. Ruth e Aaron, il più piccolo dei due figli, restano intrappolati tra le lamiere. I soccorsi, arrivati sul posto, riescono a tirare fuori Ruth. Ha un piede maciullato: in ospedale i sanitari saranno costretti ad amputarlo. Di Aaron, invece, per ore non c’è traccia. Verrà ritrovato, senza vita, solo all’alba del 4 settembre.

PAPÀ JOSUÉ è rimasto due giorni vicino alla moglie. Con lui, il figlio maggiore. Ed è all’uscita dell’ospedale di Ciudad Juárez, prima di essere preso in consegna dal personale dell’Istituto nazionale per l’immigrazione (Inm) insieme al figlio, che ha raccontato al quotidiano online La Verdad che «quello era il terzo o quarto treno che abbiamo preso in Messico, nemmeno mi ricordo più». L’obiettivo era «raggiungere i nostri parenti negli Stati Uniti». Un viaggio, quello di Josué, Ruth e dei due figli, iniziato dal Chiapas, dalla stazione di Palenque, di Bestia in Bestia. Ci vogliono sei giorni per attraversare tutto il Messico e arrivare a Tijuana. Le persone si nascondono tra un vagone e l’altro, oppure sul tetto, e lì viaggiano. C’è chi riesce a salire in stazione, come hanno fatto stavolta Ruth e la moglie a Chihuahua, e chi invece in corsa, sfruttando la lentezza della Bestia.

«Su quel vagone eravamo in 17. Al momento del deragliamento, siamo volati tutti giù, tra le lamiere». In realtà, a bordo della Bestia, c’erano altre persone, ma lui non lo può sapere. Nove sono state ritrovate il giorno successivo intrappolati all’interno di un vagone merci. Sono stati curati sul posto e hanno firmato una liberatoria per evitare di essere trasportati in ospedale. L’obiettivo: sparire dai radar dell’Inm. Il motivo: evitare di informare le autorità consolari dei paesi «di fuga». Molti altri, «decine» raccontano i primi soccorritori arrivati sul luogo dell’incidente, sono fuggiti sfruttando il buio per non farsi identificare.

PRIMA DI ESSERE TRASFERITO insieme a suo figlio nella struttura Kiki Romero di Ciudad Juárez, che accoglie chi viene espulso dagli Stati Uniti, Josué ha incolpato i governi della tragedia che lo ha colpito: «Se ci permettessero di viaggiare liberamente su un autobus, senza rischiare di finire nelle mani della criminalità o peggio, come accaduto a noi, questo non sarebbe successo».
La questione migratoria continua a essere un ferita aperta per il presidente Andrés Manuel López Obrador che sta per lasciare una pesante eredità a Claudia Sheinbaum, che il primo ottobre prenderà il suo posto. E non solo nelle città di frontiera. Anche a Città del Messico, dove è maggiore la possibilità di trovare un lavoro, o meglio un “lavoretto”, sono diverse le tendopoli con migliaia di migranti in attesa di chiedere asilo negli Stati Uniti, bloccati in una sorta di limbo che può durare anche mesi.

Proprio per provare a risolvere la «questione Città del Messico», il governo ha comunicato lo scorso 31 agosto che offrirà viaggi in bus che partiranno dalle città del sud del paese verso quelle al confine con gli Usa per consentire ai migranti di presentare domanda di asilo e attendere la risposta. A queste persone, che potranno partire da Villahermosa, nello stato di Tabasco, e Tapachula, in Chiapas, sarà quindi concesso un permesso di transito di venti giorni per attraversare il paese.

A PORTARE I MIGRANTI a nord, però, non saranno bus di linea e tanto meno normali autisti, ma la Guardia nazionale in compagnia del personale dell’Istituto nazionale per la migrazione. «Durante il viaggio, i migranti riceveranno cibo e acqua» hanno spiegato dall’Inm, «quindi non dovranno preoccuparsi di spendere denaro e, quindi, di doversi cercare un lavoro in attesa della risposta degli Usa».

Questa soluzione, però, ha incontrato le critiche delle ong che hanno sottolineato le diverse falle di questo nuovo sistema, a partire dalla pericolosità delle città di frontiera del nord al ruolo sempre più centrale della Guardia nazionale – che ha unito in un unico corpo polizia federale, militare e navale – nella gestione della crisi migratoria in ottica securitaria fino ad arrivare alle possibili criticità operative: sono infatti centinaia i casi di migranti con un appuntamento fissato per richiedere asilo negli Stati Uniti che sono stati fermati sul territorio messicano e rispediti a sud, in un diabolico gioco dell’oca che costringe le persone a cercare strade alternative – come appunto la Bestia – per raggiungere l’agognato nord.

QUESTO IMPEGNO del governo «per ridurre ulteriormente il numero di migranti» che si presenta direttamente alla porta degli Usa è stato particolarmente apprezzato oltre confine e ha ricevuto il plauso dell’ambasciatore statunitense in Messico, Ken Salazar, che giovedì mattina – proprio mentre papà Josué era chiamato a riconoscere il corpo senza vita di suo figlio Aaron – ha sottolineato pubblicamente «l’ottimo lavoro svolto da Obrador. Lavorando insieme, siamo riusciti a ridurre l’intenzione di andare negli Stati Uniti del 28% tra i giovani sudamericani e del 14% tra le fasce della popolazione più povera». Il merito di questi numeri, secondo Salazar, è della Dichiarazione di Los Angeles sulla migrazione, adottata a luglio 2022 su spinta del governo Biden, ufficialmente in rottura con la politica unilaterale di Trump. Ma dietro principi come «cooperazione», «collaborazione» e «tutela delle persone» poco è cambiato con la decisione di Biden di mantenere in vigore il Titolo 42, la controversa misura sanitaria adottata durante la pandemia che consente l’espulsione automatica dei migranti che tentano di attraversare la frontiera con la conseguente perdita di ogni diritto di asilo negli Usa.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento