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Cerchi Unrwa su Google e finisci… sui siti pagati dal governo di Tel Aviv

Dopo un raid su una scuola dell’Unrwa a Nuseirat foto Abdel K.Hana/ApDopo un raid su una scuola dell’Unrwa a Nuseirat – foto Abdel K.Hana/Ap

Israele/Palestina La scoperta della filiale americana dell’agenzia creata dall’Onu nel ’49 per i palestinesi. Colpa di GoogleAds che premia con più evidenza chi più paga. E il governo Netanyahu pagava

Pubblicato circa un mese faEdizione del 31 agosto 2024

Cercare in rete come aiutare le famiglie a Gaza, tentare di trovare on line un modo per far arrivare qualche soldo alle organizzazioni che le assistono ed invece incappare nella propaganda di Netanyahu. Quella per la quale i civili palestinesi sono tutti terroristi.

È un nuovo capitolo della guerra all’informazione che da undici mesi accompagna e segue le stragi israeliane. Forse, meglio: è solo un paragrafo, un piccolo paragrafo di quella guerra ma è sicuramente il più strano e va raccontato. A rivelarlo è stato Wired che ha raccolto una denuncia, ha fatto qualche brevissima indagine e ha scoperto tutto.

MESI FA, l’Unrwa americana – la “filiale” statunitense della United Nations relief and works agency, l’organizzazione mondiale creata dall’Onu nel ’49 per sostenere i rifugiati palestinesi – ha lanciato una campagna per raccogliere fondi. Già da quattro mesi, la Striscia era ridotta ad un cumulo di macerie, con una crisi sanitaria ed alimentare che appariva, allora come adesso, drammatica. Insostenibile. La campagna, come avviene ovunque in qualsiasi parte del mondo, è stata avviata nella home page dell’Unrwa Usa. Tutto normale, tutto lecito, tutto fatto centinaia di altre volte.

Fino a quando Mara Kronenfeld – direttrice esecutiva dell’associazione, che ci tiene a far sapere di essere di religione ebraica – stava spiegando ad un donatore come raggiungere il sito. Velocemente ha detto che bastava inserire nella stringa di Google il nome dell’Unrwa Usa. Con sorpresa sua e del donatore, il più famoso motore di ricerca – quello utilizzato ancora dal 90% degli utenti della rete – ha fornito loro però strane righe di risposta alla query.

Non erano link che rinviavano all’Unrwa americana ma collegamenti a siti del governo di Tel Aviv o al suo ministero della difesa. Pagine e pagine web dove Netanyahu e i suoi ministri raccontavano la storia che in quei giorni riempiva le cronache di quasi tutti i media occidentali: e che cioè l’Unrwa era stata “parte attiva” dell’assalto del 7 ottobre, che i suoi funzionari erano tutti militanti di Hamas, che invece di cibo e medicine l’organizzazione dell’Onu riforniva di armi i palestinesi. Un invito, esplicito, a «non fornire» loro alcun sostegno. Il tutto senza una prova, come qualcuno nelle settimane successive si prese la briga di spiegare.

DA QUELLA SCOPERTA è partita una piccola indagine che ha permesso di scoprire non solo che Google se interrogato sull’Unrwa dava la priorità al governo israeliano nelle risposte ma che la pagina con le risposte era sempre accompagnata da vistosi banner pubblicitari, anche questi tutti voluti dal governo di Tel Aviv. Con gli stessi toni. Oggi, le “strane” risposte di Google non arrivano più agli utenti – almeno così sembra – ma come è potuto accadere? La spiegazione è nei Google Adworks, o semplicemente gli “ads” come li chiamano i manager del settore. È il complesso sistema pubblicitario messo in piedi dal colosso di Mountain View, uno dei tanti tasselli che gli hanno permesso di diventare monopolista incontrastato (e incontrollato). Detto brutalmente: più paghi e prima ti posizioni nei risultati delle ricerche.

NEL DETTAGLIO, gli inserzionisti – le società, i venditori ed ora, s’è saputo, anche i governi – si rivolgono a Google facendo “offerte” per determinate parole chiave. Che possono essere “scarpe da tennis” o “aiuto a Gaza”, possono variare da “borse Prada” fino ad “Unrwa Usa”. Le keywords per le quali si è disposti a pagare possono essere infinite, possono essere presentate anche a “pacchetti”, con combinazioni. Quando un utente inserisce nella stringa di Google una di queste parole-chiave, il motore ti risponde con una pagina – una serp, search engine results page – che non ti fornisce i link più pertinenti e neanche i più popolari. In testa ci sono quelli più “generosi”.

Descritto così, sembra facile da spiegare. In realtà il sistema di annunci è molto, molto più complicato. E più conveniente per il colosso telematico. Perché – in tempo reale – quando un utente digita una query, Google Ads avvia una sorta di asta fra i potenziali inserzionisti.

SE NON FAI PARTE di una lista nera, se insomma non sei proprio un truffatore acclarato e rientri quindi nell’”Ad rank” di Google, partecipi alla gara istantanea. Offri di più e la tua “ditta” sarà il primo quadratino che appare in alto a sinistra. Nel ranking, che ti fa vincere in caso di parità di offerta, non conta solo il buon nome della tua società. Di più, “pesa” se i tuoi prodotti rispondono alle parole chiave: se vendi solo computer ma nella tua offerta di keywords hai messo anche «macchine elettriche per caffè», il tuo punteggio si abbassa. Un pochino. Un sistema che molti definiscono malato ma che tutti gli uffici marketing – basta farsi un giretto in rete – giudicano «indispensabile» per un’impresa moderna.

Difficile dire quanto abbia speso il governo israeliano. Google non lo svela. Esattamente come non aggiunge nulla a chi gli ha chiesto spiegazioni sulla campagna di disinformazione contro l’Unrwa. Ha solo detto che quei primi link e quelle inserzioni pubblicitarie di Tel Aviv «non violavano le sue regole».

RESTA SOLO DA DIRE che stavolta Netanyahu quei soldi li ha spesi male. E che forse continua a spenderli, visto che Google Adworks consente anche di indicare come, dove e quando si vuole l’inserzione. Solo in America, solo per gli utenti del Texas? Solo in concomitanza con alcuni eventi? Non si può conoscere il budget. Si sa però che non ha funzionato. L’Unrwa Usa fino a giugno ha raccolto la stessa cifra che aveva raccolto l’anno scorso. A fine dicembre raddoppierà, se non di più. I suoi 78 mila finanziatori – nel ‘23 erano cinquemila – sono andati a cercarsi la pagina corretta sul Web. Nonostante GoogleAds.

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