C’era una volta il modello tedesco
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C’era una volta il modello tedesco

La crisi dell’Unione europea Con una evidente situazione di crisi generalizzata nella Repubblica federale tedesca, con i sussulti e le reazioni che ne seguiranno nell’anno delle elezioni europee, converrà cominciare a fare i conti. […]
Pubblicato 9 mesi faEdizione del 17 gennaio 2024

Con una evidente situazione di crisi generalizzata nella Repubblica federale tedesca, con i sussulti e le reazioni che ne seguiranno nell’anno delle elezioni europee, converrà cominciare a fare i conti.

Da più parti si sostiene con crescente enfasi che il pronunciamento della Corte costituzionale contro la legge di bilancio del governo di Berlino, che intendeva procedere, per altri scopi (transizione energetica), all’indebitamento straordinario previsto in occasione della pandemia, avrebbe aperto una vera e propria crisi di stato. Tuttavia l’estensione sociale e politica della crisi è ancora più ampia, profonda e articolata: il buco di 60 miliardi prodotto dalla sentenza della corte irradia i suoi effetti in diverse direzioni e in aggrovigliati nodi politici. Tra i più visibili la straordinaria mobilitazione dei contadini contro la sia pur progressiva eliminazione delle agevolazioni fiscali tra le quali il costo calmierato del diesel agricolo.

Tuttavia, a sottendere il movimento di protesta, in Germania e in buona parte del nord Europa, è l’ostilità crescente verso le politiche di sostenibilità ambientale europee e nazionali, che imporrebbero la rinuncia tendenziale a diversi strumenti chimici delle colture intensive e a restrizioni nello sfruttamento del territorio e nell’estensione degli allevamenti. Con l’argomento dell’inevitabile aumento di prezzo dei prodotti agricoli, il movimento si assicura poi l’appoggio dei consumatori. Sebbene la protesta abbia diverse valide ragioni, nondimeno si tratta di vento in poppa per le destre nazionaliste europee, a cominciare da Afd che cavalca il movimento in Germania.

Laddove si tratterebbe non di ridurre ma di incrementare il sostegno finanziario all’agricoltura, ma indirizzandolo alla trasformazione piuttosto che alla conservazione, il dogma dell’indebitamento zero, iscritto in Costituzione, erige una muraglia invalicabile, del tutto indifferente al meno 0,3 del Pil germanico e alle fosche previsioni sul futuro. Cosicché il ministro dell’economia Lindner, zelante sacerdote del credo liberista, cerca di consolare i contadini assicurando che, per colmare il buco, molto ha pescato tra le risorse destinate al reddito di cittadinanza e ai richiedenti asilo. Categorie spudoratamente citate per anticipare gli ululati della destra. Del resto, è ormai evidente che la coalizione di governo ha chiaramente scelto di contrastare l’avanzata di Afd, inglobando in forme ritenute compatibili (e perlopiù discutibili) con lo stato di diritto alcuni dei suoi temi prediletti come i respingimenti dei migranti, lo smantellamento del diritto di asilo e il riarmo. Senza gran risultato però visto che il gradimento degli elettori per tutti i partner della coalizione è ai minimi storici.

A patire il maggiore discredito in questo frangente sono i Verdi. La crisi energetica li aveva già costretti a ripetuti compromessi sui tempi e sui modi dell’uscita dal fossile e sul futuro del nucleare. La guerra in Ucraina ne aveva fatto gli alfieri più convinti del riarmo tedesco e di una impossibile soluzione militare del conflitto. Ogni remora nella diffusione degli strumenti di guerra cadeva infine con lo sblocco delle forniture belliche all’Arabia saudita, sorvolando cinicamente sulla natura e sui conflitti di quel regime. Quanto ai profughi, i Grünen si sono allineati alla finzione dei “paesi sicuri” partendo dai quali il diritto di asilo non viene riconosciuto.

Quel che resta del verde è davvero poco e il partito rischia di finire stritolato tra l’odio dei contadini e di tutti coloro che si sentono danneggiati dalla transizione ecologica e la disaffezione dei suoi sostenitori per l’abbandono di molte delle tradizionali posizioni. Le conseguenze elettorali potrebbero essere devastanti, fin dalle prossime europee e scadenze regionali. Altrettanto scomoda la posizione dei liberali di Lindner, il cui rigorismo liberista in difesa della rendita finanziaria cozza con l’andamento dell’economia reale. Cosicché la rigidità della dottrina finirà con l’essere aggirata da qualche furbesca scappatoia, per salvare, forse, quel tanto di consenso necessario a superare la soglia di sbarramento, ma scontentando la schiera degli ortodossi che sono la spina dorsale del partito. La Spd inchiodata al 14% oppone alla destra poco più che le sue credenziali atlantiche.

Resta il fatto che la Germania come “modello” è in pezzi e al centro del disastro c’è la fine dell’Est europeo come terreno di espansione economica e culturale della Rft. Kaczynski a Varsavia, fuori dal governo ma non dai giochi, tuona contro l’“imperialismo tedesco”, da Budapest a Praga e Bratislava gli umori antitedeschi (e i conflitti con la Ue) crescono costantemente. La fase del dopo ’89, quando Berlino accompagnava le società postsocialiste a suon di bacchettate nel magico mondo dell’economia di mercato, si è definitivamente conclusa con una buona dose di risentimento. Nei Länder della ex Rdt con il dilagare di Afd, in altri paesi con una manifesta insofferenza per le lezioni di democrazia impartite dalla Germania e dalla Ue.

La Russia, da principale destinataria della Ostpolitik e naturale interlocutore economico e politico dell’Ue, si è trasformata, con la disgraziata invasione dell’Ucraina, nel grande antagonista. Così la Germania è di fronte a una desolante alternativa: seguire per filo e per segno la politica di Washington (dal futuro incerto e inquietante e mai favorevole all’Ue) o accomodarsi, in un modo o nell’altro con il nazionalismo sempre più aggressivo della destra xenofoba e identitaria. In entrambi i casi, (ma il secondo è assai più nefasto) il ruolo di Berlino in Europa tenderà a ripiegarsi su se stesso, sull’interesse nazionale o sul rapporto con gli Stati uniti. La Germania è tra i paesi maggiormente danneggiati dall’attuale contingenza geopolitica e di conseguenza l’Europa intera ne soffrirà. Un’ondata di scioperi e manifestazioni sta per investire la Rft. Potrebbe essere l’occasione buona per rimettere in discussione quegli austeri dogmi di stabilità che nessuna stabilità assicurano più. Ma per ora il governo di Berlino non sembra propenso a coglierla.

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