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Jenny Erpenbeck, Ddr e vaghi amori, un duplice disfarsi

Jenny Erpenbeck, Ddr e vaghi amori, un duplice disfarsi – Fotografia di Espen Eichhoefer/ OSTKREUZ/contrasto

Scrittrici tedesche Su uno sfondo politico precario, Jenny Erpenbeck mette in scena il girovagare confuso di due amanti inconsapevoli di quanto li circonda, tra caffè, letti, sogni, ricatti: «Kairos», da Sellerio

Pubblicato circa 20 ore faEdizione del 17 novembre 2024

In una lingua di una semplicità disarmante, che insegue ricordi, passi, abbracci, geografie urbane, e che, dopo qualche pagina rischia di sfarsi in un balbettio ingenuo, il romanzo di Jenny Erpenbeck, Kairos (Sellerio, pp. 362, € 18,00) che ha appena vinto (insieme al traduttore Michael Hofmann) l’International Booker Prize, avvicina tra le strade di Berlino est due anime perse, Hans e Katharina, e le trascina in un legame amoroso all’apparenza perfetto: «Faccia a faccia con quest’uomo che durante la cena le siede di fronte (…) lei capisce: adesso è cominciata la vita, per la quale tutto il resto è stato solo propedeutico».

In realtà molte cose li separano: per lui, trenta anni di differenza, il legame pregresso con una moglie e un figlio, un disorientamento che lo porta a consumare sbadatamente i giorni. Per lei, con i suoi diciannove anni, la ricerca incerta e infantile del suo posto nel mondo. Ma, malgrado tutto, è Kairos, l’inafferrabile dio del momento felice che, possente, assicura i due protagonisti un radicale e inaspettato cambiamento.

Jenny Erpenbeck descrive, all’inizio del romanzo, un incontro leggero e irresistibile in una quotidianità tedesco orientale vissuta senza ironia e senza pathos. Vite sfuggenti e rotolanti tra baci, illusioni e caffè. Nell’andirivieni tra case e sentimenti, con esibite, quanto modeste, trasgressioni e piccole pedagogie che uniscono lo scrittore affermato e stanco alla giovanissima amante in cerca di una vocazione (e di un lavoro), si confrontano le generazioni e le storie da un paese difficile: da giovanissimo, Hans ha conosciuto il regime, mentre Katharina appartiene a coloro che possono vantare – come disse Helmut Kohl – la «grazia della nascita tardiva».

Il passato di Hans

Qualcosa di ciò che emerge della vita di lui evoca gli infiniti lutti del passato e la presenza incombente della morte. Si allude alla famiglia nazista, alla gioventù hitleriana; poi, la adesione convinta alla nuova Germania, quella che dichiarava di aver ripudiato il fascismo e forgiava nuovi tedeschi, redenti da ogni colpa e proiettati verso un futuro che non poteva che essere felice. Ma gli ideali sbiadiscono, e Hans, dopo essere transitato per la Stasi, avere ottenuto successi e libertà da intellettuale ben allineato, finisce per accontentarsi di una vita accudita e privilegiata, di erotismi volatili, di trasmissioni musicali per la radio nazionale e di una vena creativa probabilmente già prosciugata. Anche Katharina gode dei privilegi che le vengono da una famiglia di intellettuali, comunisti da sempre, impegnati quanto basta per permetterle di cambiare progetti e sogni.

Tra lacrime e viaggi, tradimenti e abbandoni, mentre il matrimonio di lui sembra resistere a tutto, la storia lentamente si consuma: lui diventa violento, punisce la ragazza e la umilia per un breve tradimento, poi cerca di rieducarla alla sottomissione con una ossessività crescente e crudele che mette il lettore a dura prova, pagina dopo pagina. Lei soffre, accetta, si consola con tentativi di imbastire altri rapporti, poi comincia lentamente a sottrarsi. «La relazione si fa in gran parte un melodramma» – commenta lo scrittore Boria Sax: Katherina sembra assurdamente ingenua e innocente, mentre Hans è irrimediabilmente corrotto. Katherina è abbastanza interessante ma non credibile; Hans è del tutto credibile ma di scarso interesse.

Ciò che resta è una scatola piena di biglietti, appunti, lettere spedite al fermo posta, o anche scovate per caso, che ricostruiscono, dopo la sua morte, la storia di Hans, grande e pensosa metafora della scrittura che procede per frammenti, in un confuso universo emotivo in cui ogni sentimento sembra destinato a una inevitabile dilapidazione. Docile ai cambi di stile e di registro, la traduzione italiana di Ada Vigliani è esemplare nella sua disposizione a seguire la scrittrice nella apatia e nel pathos, tra le parole quotidiane e quelle che, fin troppo raffinate, giungono quasi per protesta scalfendo la banalità di una vita appannata.

Jenny Erpenbeck
Jenny Erpenbeck

Senza eroismi e senza proclami, la aggrovigliata storia di Hans e Katharina incontra, con una vaghezza che, tuttavia, coinvolge, la storia tedesca. La crisi della Repubblica Democratica segue i due amanti come un’ombra silenziosa: il disfarsi della loro relazione si accompagna allo sfaldarsi dello Stato, regalando uno sfondo precario, ma carico di interrogativi, anche drammatici, al girovagare confuso e, a tratti, insensato dei protagonisti: tra caffè, letti, stanze, sogni, ricatti e impotenze. «La fine del sistema che conoscevo, in cui sono cresciuta, mi ha spinto a scrivere» – ha commentato Jenny Erpenbeck – confessando di aver vissuto quel radicale cambiamento «senza esserne davvero consapevole».

Anche i protagonisti di Kairos non sembrano rendersi conto: non leggono i giornali, né abbozzano qualche riflessione. Subiscono gli eventi: non li troveremo tra i manifestanti a forzare steccati e confini, né sarà possibile registrare i loro progetti sulla prospettiva di una nuova, ideale Repubblica, collocata tra Est e Ovest, passato e futuro.

Come Hans Castorp, il protagonista della Montagna magica di Thomas Mann, il nostro Hans non intende spingersi al di là del perimetro disegnato dal suo vivere oppresso: la casa, lo studio di registrazione, il pellegrinaggio tra i ritrovi consueti o gli incontri con gli esausti scrittori di una paludata Goethe Gesellschaft. Così, Katharina, arrivata a Colonia per una eccezionale visita alla nonna, rimane impermeabile al ‘sogno’ occidentale, non apprezza nulla e neppure immagina di rimanere. Solo la loro età sembra avere effetto sulla vita dei due amanti: Hans, come tanti intellettuali dopo il 1989, perderà il lavoro, la fede, e infine, la vita. Katharina è invece pronta per un nuovo inizio; basta che sia il più possibile uguale al passato: «Non sarà mai più come oggi, pensa Hans. D’ora in avanti sarà così per sempre, pensa Katharina», che ha paura di essere estromessa, di venire cacciata, di ritrovarsi costretta a trovare definitamente la sua strada. «È un gioco che gioca con se stessa, e ciò che la impaurisce porta il suo stesso nome».

Riferimenti obbligati più che sentiti

Traspare in queste pagine tutta la porosità di quel progetto orientale che aveva coinvolto, a partecipazione variabile, grandi scrittori, da Heiner Müller a Bertolt Brecht, autori che Erpenbeck ricorda nel romanzo con l’ammirata distanza con cui si scorre un elenco nobiliare. È comunque un progetto che lei non sembra aver condiviso, né criticato, assorbita dalla costruzione asmatica del futuro, fino ad approdare da regista apprezzata alla fantasmagoria dell’opera lirica e, quindi, a una variegata, spesso spiazzante opera letteraria, che – virtuosa – dà valore ai marginali, idealizza la accoglienza e rifiuta con rigore ogni forma di sfruttamento.

Della crisi epocale di quegli anni nulla sembra rimanere. Né viene seminato tra le pagine qualcosa della Germania che conosciamo, sbalzata tra abissi e sogni, alla ricerca di chiavi radicali per comprendere un mondo che cambia e una modernità con la quale, nonostante tutto, non riesce a conciliarsi.

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