Jenny Erpenbeck, Ddr e vaghi amori, un duplice disfarsi
Scrittrici tedesche Su uno sfondo politico precario, Jenny Erpenbeck mette in scena il girovagare confuso di due amanti inconsapevoli di quanto li circonda, tra caffè, letti, sogni, ricatti: «Kairos», da Sellerio
Scrittrici tedesche Su uno sfondo politico precario, Jenny Erpenbeck mette in scena il girovagare confuso di due amanti inconsapevoli di quanto li circonda, tra caffè, letti, sogni, ricatti: «Kairos», da Sellerio
In una lingua di una semplicità disarmante, che insegue ricordi, passi, abbracci, geografie urbane, e che, dopo qualche pagina rischia di sfarsi in un balbettio ingenuo, il romanzo di Jenny Erpenbeck, Kairos (Sellerio, pp. 362, € 18,00) che ha appena vinto (insieme al traduttore Michael Hofmann) l’International Booker Prize, avvicina tra le strade di Berlino est due anime perse, Hans e Katharina, e le trascina in un legame amoroso all’apparenza perfetto: «Faccia a faccia con quest’uomo che durante la cena le siede di fronte (…) lei capisce: adesso è cominciata la vita, per la quale tutto il resto è stato solo propedeutico».
In realtà molte cose li separano: per lui, trenta anni di differenza, il legame pregresso con una moglie e un figlio, un disorientamento che lo porta a consumare sbadatamente i giorni. Per lei, con i suoi diciannove anni, la ricerca incerta e infantile del suo posto nel mondo. Ma, malgrado tutto, è Kairos, l’inafferrabile dio del momento felice che, possente, assicura i due protagonisti un radicale e inaspettato cambiamento.
Jenny Erpenbeck descrive, all’inizio del romanzo, un incontro leggero e irresistibile in una quotidianità tedesco orientale vissuta senza ironia e senza pathos. Vite sfuggenti e rotolanti tra baci, illusioni e caffè. Nell’andirivieni tra case e sentimenti, con esibite, quanto modeste, trasgressioni e piccole pedagogie che uniscono lo scrittore affermato e stanco alla giovanissima amante in cerca di una vocazione (e di un lavoro), si confrontano le generazioni e le storie da un paese difficile: da giovanissimo, Hans ha conosciuto il regime, mentre Katharina appartiene a coloro che possono vantare – come disse Helmut Kohl – la «grazia della nascita tardiva».
Il passato di Hans
Qualcosa di ciò che emerge della vita di lui evoca gli infiniti lutti del passato e la presenza incombente della morte. Si allude alla famiglia nazista, alla gioventù hitleriana; poi, la adesione convinta alla nuova Germania, quella che dichiarava di aver ripudiato il fascismo e forgiava nuovi tedeschi, redenti da ogni colpa e proiettati verso un futuro che non poteva che essere felice. Ma gli ideali sbiadiscono, e Hans, dopo essere transitato per la Stasi, avere ottenuto successi e libertà da intellettuale ben allineato, finisce per accontentarsi di una vita accudita e privilegiata, di erotismi volatili, di trasmissioni musicali per la radio nazionale e di una vena creativa probabilmente già prosciugata. Anche Katharina gode dei privilegi che le vengono da una famiglia di intellettuali, comunisti da sempre, impegnati quanto basta per permetterle di cambiare progetti e sogni.
Tra lacrime e viaggi, tradimenti e abbandoni, mentre il matrimonio di lui sembra resistere a tutto, la storia lentamente si consuma: lui diventa violento, punisce la ragazza e la umilia per un breve tradimento, poi cerca di rieducarla alla sottomissione con una ossessività crescente e crudele che mette il lettore a dura prova, pagina dopo pagina. Lei soffre, accetta, si consola con tentativi di imbastire altri rapporti, poi comincia lentamente a sottrarsi. «La relazione si fa in gran parte un melodramma» – commenta lo scrittore Boria Sax: Katherina sembra assurdamente ingenua e innocente, mentre Hans è irrimediabilmente corrotto. Katherina è abbastanza interessante ma non credibile; Hans è del tutto credibile ma di scarso interesse.
Ciò che resta è una scatola piena di biglietti, appunti, lettere spedite al fermo posta, o anche scovate per caso, che ricostruiscono, dopo la sua morte, la storia di Hans, grande e pensosa metafora della scrittura che procede per frammenti, in un confuso universo emotivo in cui ogni sentimento sembra destinato a una inevitabile dilapidazione. Docile ai cambi di stile e di registro, la traduzione italiana di Ada Vigliani è esemplare nella sua disposizione a seguire la scrittrice nella apatia e nel pathos, tra le parole quotidiane e quelle che, fin troppo raffinate, giungono quasi per protesta scalfendo la banalità di una vita appannata.
Senza eroismi e senza proclami, la aggrovigliata storia di Hans e Katharina incontra, con una vaghezza che, tuttavia, coinvolge, la storia tedesca. La crisi della Repubblica Democratica segue i due amanti come un’ombra silenziosa: il disfarsi della loro relazione si accompagna allo sfaldarsi dello Stato, regalando uno sfondo precario, ma carico di interrogativi, anche drammatici, al girovagare confuso e, a tratti, insensato dei protagonisti: tra caffè, letti, stanze, sogni, ricatti e impotenze. «La fine del sistema che conoscevo, in cui sono cresciuta, mi ha spinto a scrivere» – ha commentato Jenny Erpenbeck – confessando di aver vissuto quel radicale cambiamento «senza esserne davvero consapevole».
Anche i protagonisti di Kairos non sembrano rendersi conto: non leggono i giornali, né abbozzano qualche riflessione. Subiscono gli eventi: non li troveremo tra i manifestanti a forzare steccati e confini, né sarà possibile registrare i loro progetti sulla prospettiva di una nuova, ideale Repubblica, collocata tra Est e Ovest, passato e futuro.
Come Hans Castorp, il protagonista della Montagna magica di Thomas Mann, il nostro Hans non intende spingersi al di là del perimetro disegnato dal suo vivere oppresso: la casa, lo studio di registrazione, il pellegrinaggio tra i ritrovi consueti o gli incontri con gli esausti scrittori di una paludata Goethe Gesellschaft. Così, Katharina, arrivata a Colonia per una eccezionale visita alla nonna, rimane impermeabile al ‘sogno’ occidentale, non apprezza nulla e neppure immagina di rimanere. Solo la loro età sembra avere effetto sulla vita dei due amanti: Hans, come tanti intellettuali dopo il 1989, perderà il lavoro, la fede, e infine, la vita. Katharina è invece pronta per un nuovo inizio; basta che sia il più possibile uguale al passato: «Non sarà mai più come oggi, pensa Hans. D’ora in avanti sarà così per sempre, pensa Katharina», che ha paura di essere estromessa, di venire cacciata, di ritrovarsi costretta a trovare definitamente la sua strada. «È un gioco che gioca con se stessa, e ciò che la impaurisce porta il suo stesso nome».
Riferimenti obbligati più che sentiti
Traspare in queste pagine tutta la porosità di quel progetto orientale che aveva coinvolto, a partecipazione variabile, grandi scrittori, da Heiner Müller a Bertolt Brecht, autori che Erpenbeck ricorda nel romanzo con l’ammirata distanza con cui si scorre un elenco nobiliare. È comunque un progetto che lei non sembra aver condiviso, né criticato, assorbita dalla costruzione asmatica del futuro, fino ad approdare da regista apprezzata alla fantasmagoria dell’opera lirica e, quindi, a una variegata, spesso spiazzante opera letteraria, che – virtuosa – dà valore ai marginali, idealizza la accoglienza e rifiuta con rigore ogni forma di sfruttamento.
Della crisi epocale di quegli anni nulla sembra rimanere. Né viene seminato tra le pagine qualcosa della Germania che conosciamo, sbalzata tra abissi e sogni, alla ricerca di chiavi radicali per comprendere un mondo che cambia e una modernità con la quale, nonostante tutto, non riesce a conciliarsi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento