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C’era una volta il modello emiliano-romagnolo

C’era una volta il modello emiliano-romagnolo

Bologna Non si deve disconoscere il positivo dei governi locali, ma riconoscere - v. l’ultimo Rapporto Ires Cgil - che quella «diversità» è finita nel paradigma del neoliberismo

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 1 febbraio 2024

Gli articoli di Ardeni e Martelloni su alcune vicende politiche bolognesi mi sollecitano diverse riflessioni che riguardano l’insieme delle dinamiche economiche, sociali e ambientali della regione Emilia Romagna. Inizio dicendo «C’era una volta il modello emiliano-romagnolo…» per evidenziare come le caratteristiche di fondo di quell’inedito intreccio sociale e politico lì realizzato si sia esaurito, ormai da lungo tempo.

Esso, nella sostanza, da quando mosse i suoi primi passi, negli anni ‘60 del secolo scorso, era fondato su 3 grandi perni: una struttura produttiva efficiente, basata su un tessuto largo di piccole e medie aziende, prodotte da un’imprenditorialità diffusa e da un’alta qualità del lavoro, un Welfare ben strutturato, a partire dagli asili nido “inventati” in questa terra; un sistema di relazioni sociali costruito su rapporti stretti e riconosciuti tra le organizzazioni di rappresentanza sociale e da meccanismi di partecipazione importanti. A partire da qui, si era dato vita ad una società coesa e a legami sociali forti.

Ora, questo quadro, nell’Emilia-Romagna dei nostri giorni, è completamente scompaginato. Persistono realtà significative di medie imprese, riunite in diversi distretti industriale, ma sempre più forte diventa il ruolo delle multinazionali e dei Fondi di natura finanziaria, con il conseguente aspetto predatorio che si portano dietro; il sistema di welfare si è progressivamente indebolito, con situazioni decisamente preoccupanti nella sanità, interessata da una privatizzazione strisciante; del sistema partecipativo è rimasta semplicemente l’ombra, lasciando posto alla solitudine delle persone e al venir meno dei legami sociali.

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Nel contempo cresce la disuguaglianza sociale, aumenta la povertà, emergono gravi problematiche ambientali, come ben testimoniato dall’ultimo rapporto dell’Ires Cgil regionale del giugno scorso. Intendiamoci bene: non si tratta di disconoscere risultati maggiormente positivi realizzati in Emilia-Romagna rispetto ad altre regioni in diversi ambiti, quanto di saper vedere che non esiste una «diversità» di modello, che si è ridotta a stare anch’essa dentro il paradigma generale del neoliberismo, sia pure con tratti di maggiore inclusione e solidarietà sociale.

Proprio questo punto di fondo, però, è quello che si fa fatica a riconoscere. Non lo fa certamente il Pd (e la maggioranza che governa la Regione), che continua imperterrito ad andare avanti con politiche vecchie e superate, anche quando tenta di ammontarle di modernità. È il caso del Patto per il Lavoro e il Clima, approvato nel dicembre 2020 dalla Giunta regionale e sottoscritto praticamente da tutti gli attori sociali, tranne che da RECA ( Rete Emergenza Climatica e Ambientale, che raggruppa più di 80 Associazioni e comitati ambientalisti) e un anno fa disconosciuto anche da Legambiente regionale.

Vediamo che si continua a puntare sulle grandi opere autostradali come volano per rilanciare un’idea di sviluppo quantitativo e produttivistico, a partire dal Passante di Mezzo di Bologna; si prosegue nell’idea della privatizzazione dei beni comuni, a partire dall’acqua; si assenconda l’insediamento del rigassificatore a Ravenna, dentro una logica di continuità con l’economia del fossile; si prosegue con scelte che la fanno stare nei primi posti tra quelle che più consumano suolo e registrano più inquinamento atmosferico. Anche sul terreno delle pratiche democratiche e partecipative, dobbiamo registrare un pesante arretramento: più che esemplificativo è il fatto che le 4 proposte di legge di iniziativa popolare regionale sui temi ambientali, promosse da Reca e Legambiente regionale, giacciono nei cassetti delle Commissioni competenti da più di un anno, senza che su di esse non si sia neanche avviata la discussione.

Insomma, c’è n’è quanto basta per riconsiderare il cosiddetto modello emiliano e prospettare anche qui un modello produttivo, sociale e ambientale alternativo: è quanto ci ripromettiamo di compiere con l’importante convegno che RECA, assieme a Diritti alla Città e all’Osservatorio urbano di Bologna, organizza per il 17-18 febbraio a Bologna sulla crisi del neoliberisno e anche del modello emiliano. Un’occasione che pensiamo sarebbe utile per tutti utilizzare al meglio.

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