Centri per disabili, comunità per minori e case famiglia hanno perso quasi tutto
I danni L’Anffas: «Non abbiamo neanche più il pulmino per trasportare i ragazzi»
I danni L’Anffas: «Non abbiamo neanche più il pulmino per trasportare i ragazzi»
A Faenza sono ricominciate le scuole, ma l’alluvione ha dato un duro colpo alle fasce più fragili, devastando centri per disabili, case famiglia e comunità per minori.
Secondo i dati forniti dal Comune, decine di condomini, per un totale di almeno 248 alloggi di edilizia popolare sono stati duramente colpiti, soprattutto i piani bassi e i garage. Mercy, una mamma nigeriana, mi mostra lo sfacelo in cui versa il suo garage e il livello dove arrivava l’acqua. Ma almeno lei ha la casa salva. Altri non hanno più nemmeno la casa e stanno ancora nei palazzetti dello sport o ospiti di amici.
Vicino al fiume, in via Paolo Galli, la forza dell’acqua ha divelto anche il cancello e il muretto, sommergendo il centro diurno La Rondine, che normalmente fa attività con venti ragazzi disabili, il laboratorio Il Faro che ospita una decina di ragazzi e la sede Anffas. Essendo centri diurni quella notte le sedi erano vuote, ma i danni sono enormi: «La struttura è di proprietà del Comune – spiega Nives Baldoni presidente Anffas di Faenza – e stiamo ancora aspettando di capire se è agibile. Con l’aiuto di tanti volontari, abbiamo quasi finito di spalare il fango che c’era dentro e portato fuori quello che c’è da buttare. Abbiamo perso quasi tutto, anche il pulmino per trasportare i ragazzi. Dopo la pandemia eravamo appena ripartiti con gite, attività e progetti per l’autonomia. Questi ragazzi hanno genitori ormai anziani, l’azzeramento di questi servizi è drammatico per tutti».
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Libri sott’acqua, archivi devastati: il tesoro perduto delle bibliotecheVicino a Nives, con gli stivali nel fango, c’è sua figlia Chiara, anche lei frequentava il centro. Lì vicino altri genitori e ragazzi con disabilità che aiutano: «Facciamo quel che possiamo. Anche Anffas nazionale ha fatto partire una raccolta fondi per aiutare le sedi e le famiglie colpite».
Poco lontano, in via Fratelli Rosselli, c’è una casa famiglia che ospitava sei ragazzi, alcuni di loro disabili: «Siamo scappati quella notte – racconta Giovanni Belosi, il responsabile della casa – con i ragazzi in spalla, terrorizzati, attraversando acqua e fango. Da una settimana siamo accolti da amici, non sappiamo quando torneremo a viverci. Purtroppo dentro non c’è rimasto più niente: mobili, elettrodomestici, ricordi, tutti i nostri vestiti sono stati travolti e da buttare. Una tragedia, ma almeno siamo salvi».
Nella campagna di Castel Bolognese i bambini della casa famiglia San Giuseppe sono stati evacuati il giorno prima dell’alluvione, trovando ospitalità da amici e famiglie di appoggio, mentre il centro educativo pomeridiano Il Fienile è stato sommerso dalle acque per la seconda volta in un mese: «Ci sono rimasti solo i muri e noi, e questo basta, – sospira Adele Tellarin, la responsabile – questo centro è un punto di riferimento per tante famiglie in difficoltà, vogliamo riaprire prima possibile».
Anche i laboratori della Cooperativa sociale Botteghe e Mestieri, che producono pasta fresca da grani antichi e bio, dove lavoravano ragazzi con fragilità, sono stati fortemente compromessi dall’alluvione. Si sta cercando di far ripartire la produzione di pasta aggiustando o sostituendo i componenti elettrici.
Yassine, quasi 18 anni, racconta la fuga rocambolesca dalla comunità per minori nel centro storico di Faenza, inondata la notte tra il 16 e il 17 maggio. “Eravamo una ventina di ragazzi dai 9 ai 18 anni, più gli educatori, prima abbiamo provato a svuotare il pianterreno con i secchi, ma l’acqua cresceva. Quando ci hanno detto di scappare, noi grandi abbiamo preso sulle spalle i più piccoli e siamo usciti dal retro, i vicini ci hanno dato delle scale per scavalcare una recinzione. Una volta nel palazzetto, non c’erano brandine per tutti, e abbiamo lasciato posto agli anziani e ai bambini. Siamo stati tutta la notte per terra o sui gradini, nessuno ha dormito, ma eravamo felici perché vivi. Ho aiutato gli altri a salvarsi e non lo dimenticherò mai”.
Un educatore sorride e riflette: “È andata bene, ma sarebbe stato meglio farci evacuare prima e non quando l’acqua era già al ginocchio”. Ora questi ragazzi, ospiti nell’ex seminario, aspettano che la loro comunità sia nuovamente agibile, anche se al piano terreno sarà da ricomprare quasi tutto.
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