Carlo Galli: «Non basta nominare i più deboli per ritrovare la credibilità perduta»
Carlo Galli – Ansa
Politica

Carlo Galli: «Non basta nominare i più deboli per ritrovare la credibilità perduta»

Intervista Il professore di Bologna: «Maggioritario il Pd non lo è mai stato, dunque l’accusa a Schlein di volerlo rimpicciolire è senza senso. Il partito nasce per ingentilire il dominio liberista, se vuole recuperare voti tra chi subisce ingiustizie deve sconfessare il suo passato»
Pubblicato circa un anno faEdizione del 12 settembre 2023

Carlo Galli, già docente di Storia delle dottrine politiche all’università di Bologna. Schlein sta portando il Pd troppo a sinistra rischiando così di avere un partito più radicale e con meno voti?

In realtà la cosiddetta vocazione maggioritaria altro non era che un modo di coprire una linea più moderata ma anch’essa minoritaria. Il Pd, che è sempre stato moderato, da anni non supera il 20% e, per andare al governo, dovrà fare delle alleanze, con il M5S e con formazioni centriste che, però, si muovono spesso anche verso la destra che governa. L’idea di fare del Pd una nuova Dc, interclassista e capace di parlare ad ampi settori della società, non ha funzionato. Dunque l’accusa che Schlein, spostando il baricentro a sinistra, possa far perdere al partito una presunta funzione maggioritaria, è priva di fondamento. Semmai bisogna intendersi su cosa significhi spostare il Pd a sinistra.

Ecco, appunto. Questo movimento è davvero in corso?

Sinistra non vuol dire alzare la voce e avere un atteggiamento poco garbato nei confronti del governo Meloni. Significa accorgersi che ci sono larghi strati della popolazione che vivono una sofferenza economica ma anche civile e democratica. Se Schlein fa questo, e fa mettere al Pd il naso fuori dalle ztl, è senza dubbio un passo avanti. Ma non basta andare incontro a questi “sventurati” con un atteggiamento caritatevole: serve un’analisi critica dei meccanismi che generano l’ingiustizia sociale. E cioè riflettere sul paradigma economica dominante, seppur in crisi, del neoliberismo. Se non si riporta la politica in una condizione di superiorità rispetto all’economia, è impossibile pensare di fermare la crescita delle diseguaglianze. Fare questo non è settarismo.

Schlein parla spesso di correggere l’attuale modello di sviluppo.

Il Pd è nato come un partito che si propone di ingentilire il dominio neoliberista. Credevano, anche in buona fede, che quella fase di sviluppo potesse produrre un po’ di benessere per un grande numero di persone. Non è avvenuto: la qualità della vita e i legami sociali sono andati in crisi. E in una situazione come quella attuale non si può essere il partito dei padroni e dei lavoratori sempre più sfruttati, ed è giusto mettere in cima all’agenda la lotta alle diseguaglianze. Però gli slogan non bastano se si punta a costruire un discorso egemonico: servono proposte di modifica delle strutture delle società, dalla sanità alla scuola al ruolo dello stato in economia. Proposte radicali e al tempo stesso concrete, e facilmente comprensibili. L’insicurezza esistenziale va presa per le corna, non basta nominarla.

La svolta di Schlein non è sufficiente? Eppure subisce già grandi attacchi dai moderati…

L’uscita di un pezzo ceto politico moderato non sarebbe una tragedia, anzi. Al Pd serve un’immagine completamente nuova: da partito pro-establishment a forza critica verso il sistema dominante. E per farlo serve una chiara sconfessione delle scelte passate: un passaggio indispensabile per rivolgersi a chi subisce ingiustizie. Questo, e non genericamente «ceti deboli», è il modo migliore per definire chi vive una condizione di difficoltà. Questo non vuole affatto dire passare da partito grande a piccolo. E Schlein non si può accusare di essere troppo radicale, semmai troppo aerea, poco concreta.

La segretaria è in grado di fare questo percorso?

Al netto degli slogan, mi pare che sotto il profilo pratico si sia molto legata al sindacato, che pure è parte del problema, perché ha perso il contatto con una larga fetta del mondo del lavoro, quella dei non garantiti. L’esempio del salario minimo è chiaro: prima la Cgil era contraria, poi ha fatto marcia indietro, consapevole che la contrattazione nazionale da sola non basta a garantire salari dignitosi. La linea di Schlein dunque mi pare corretta in astratto, ma non vedo l’apparato teorico e le forza politica necessari perché abbia successo.

Il banco di prova saranno le europee?

Per acquistare credibilità verso i settori sociali più in sofferenza serve tempo. Il Pd non è un partito vergine, non può vantare grandi conquiste o riforme, poi rase al suolo da una destra malvagia. Semmai è vero che un pezzo del popolo ha scelto la destra perché non sapeva più a che santo votarsi. Sulle macerie del neoliberismo la destra prospera. E non basta certo evocare il soccorso verso i poveri per invertire questo trend. Fino a pochi anni in quel partito le parole «liberismo» e «capitalismo» non si potevano neppure pronunciare…

Ci sarà una scissione dei riformisti?

Quel poco di sostanza che resta del Pd, e cioè il blocco emiliano vicino a Bonaccini, non spaccherà il partito. Ricordo però che il termine «riformista» nasce per indicare chi voleva superare il capitalismo con metodi non violenti, in contrapposizione, di metodo ma non di finalità, ai rivoluzionari. Non come oggi per indicare chi vuole smantellare lo stato sociale per lasciare campo libero al mercato.

Schlein riuscirà a recuperare voti nel bacino dell’astensione?

Gli italiani hanno bisogno di esser rassicurati: serve una proposta moderata nei toni e radicale nei contenuti. In fasi come queste eccitare la rabbia sociale non fa gioco alla sinistra ma ad una destra sempre più radicale.

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