Un anti-Lingotto. Un tentativo, ancorché in fase embrionale e dunque fragilissimo, di cambiare la ragione sociale della “Ditta Pd”: da partito pigliatutti a forza che vorrebbe rivolgersi a chi sta «in basso» nella piramide sociale, chi «fatica ogni giorno».
Nel discorso di Schlein, in chiusura domenica della festa dell’Unità di Ravenna, si coglie un ulteriore passo avanti rispetto alla piattaforma che l’ha portata a vincere le primarie. C’è il tentativo, ambizioso e rischioso, molto più del nuovo statuto elaborato lo scorso autunno dalla commissione varata da Enrico Letta, di andare a cercare voti non nella borghesia moderata ed europeista, ma tra i precari, i delusi e rassegnati, spesso under 40, che non credono più nella politica come possibile soluzione ai propri problemi.

SE IL PD È NATO NEL 2007 con Veltroni al Lingotto di Torino per cavalcare un’ansia di modernizzazione e sviluppo, e contendere i ceti produttivi al centrodestra di Berlusconi, costruendo una sorta di nuova Dc dal sapore progressista, equidistante tra lavoratori e imprenditori, il nuovo Pd di Schlein prova a cambiare strada. E lo fa rivolgendosi direttamente a persone mai nominata nella narrativa dem: donne che fanno le pulizie negli hotel «che vedono i loro stipendi fermi sotto gli 8 euro l’ora nonostante il prezzo delle camere sia triplicato negli ultimi anni», rider, madri che faticano a conciliare la cura dei figli con la necessità di lavorare per poco più di mille euro al mese, trentenni costretti a stage gratuiti e si potrebbe continuare. L’obiettivo strategico è seguire l’esempio della Spagnola Yolanda Diaz (non a caso ospite d’onore alla festa di Ravenna), che con politiche di sinistra è riuscita sul lavoro a pescare nel bacino dell’astensione, senza perdere la borghesia progressista e istruita delle ztl, i pensionati e i lavoratori dipendenti che costituiscono la tradizionale ossatura dell’elettorato dem.

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QUESTO PROGETTO, in vista delle europee, non richiede alleanze. Anzi, nonostante le parole di fair play verso il potenziale alleato Conte, Schlein punta a recuperare voti popolari e di sinistra che negli ultimi dieci anni sono usciti dal Pd verso il M5S soprattutto a causa dell’abbraccio mortale con l’austero governo Monti nel 2011, e poi delle politiche neoliberiste e schiacciate sul mondo dell’impresa della stagione renziana. In poche parole: se il fiorentino amava farsi fotografare con Marchionne e con il finanziere Davide Serra, e più in generale con sportivi e star di ogni genere, Schlein (nonostante l’estrazione altoborghese) guarda appunto «in basso». «Ogni tanto ci accusano di aver spostato il partito a sinistra, non so se ho questa colpa e non so se sia una colpa», ha detto tra gli applausi a Ravenna.

UN DISCORSO, QUELLO di domenica, in cui la segretaria in realtà si è sforzata di rassicurare i moderati: ha citato Veltroni, Romano Prodi e Mattarella. E anche Aldo Moro, in quel discorso del 1968 sui «tempi nuovi» che si annunciano che è un manifesto di lungimiranza, di lucidità su come la politica debba farsi carico dell’aumento delle diseguaglianze e della crisi delle istituzioni. Una citazione non casuale, che fa il paio con quelle di Papa Francesco sul «grido di dolore dei poveri e della terra». Un modo abile per dire all’ala cattolica che nella sua linea politica non c’è nulla che contraddica né il pensiero del Papa e neppure la tradizione popolare. E che, anzi, la cultura cattolica democratica può sentirsi a proprio agio in un Pd più radicale sui temi della povertà e della lotta al cambiamento climatico. Un modo per dire alla minoranza che protesta e si scalda per gli addii di una trentina di dirigenti in Liguria quello che aveva detto sabato alla festa del Fatto, seppur con modi più gentili: «Chi non condivide le nostre battaglie forse ha sbagliato partito».

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LA SEGRETARIA SEMBRA aver messo in conto che ci potranno essere altre uscite, a macchia di leopardo. Ma ha la garanzia che il blocco emiliano intorno a Bonaccini non pensa minimamente a spaccature. E che, al contrario, sta già lavorando gomito a gomito con la nuova leadership. La piazza che Schlein ha annunciato per l’autunno a difesa della sanità pubblica e del potere d’acquisto delle famiglie ha una piattaforma che è largamente condivisa anche dal governatore emiliano. E lei non perde occasione per dargli manforte sulla spinosa questione dei ristori (che non arrivano) per l’alluvione di maggio in Romagna. E la condizione di partito d’opposizione a un governo di estrema destra aiuta a serrare le fila.

Calenda, nel frattempo, si lancia in una imbarazzante campagna acquisti verso i «riformisti» chiamati a uscire e unirsi a lui «senza aspettare che cambi il segretario». Le assenze al comizio di Ravenna dei big, compresi quelli che l’hanno sostenuta al congresso, da Zingaretti, Orlando, Provenzano e Franceschini, fa capire che la segretaria vive una fase di solitudine. E non è chiaro se sia un bene o un male per una leader che vuole riformattare il Pd.