Un centinaio di metri in due anni. È il bilancio in negativo della fronte del ghiacciaio della Marmolada. Nel 2020 il Comitato glaciologico italiano (Cgi) era salito sui luoghi della tragedia di domenica per una delle tappe della Carovana dei ghiacciai di Legambiente. C’era anche Marco Giardino, vicepresidente del Cgi e docente di Geografia fisica e geomorfologia all’Università di Torino. «Avevamo documentato il regresso di questo ghiacciaio di pendio, con un’inclinazione di 25 gradi, che in meno di un secolo ha visto la sua superficie ridursi del 70% e il suo volume dell’86%. Una condizione che si è accelerata negli ultimi anni. Salendo verso la fronte avevamo notato fenomeni di instabilità, ma l’osservazione dei crepacci non aveva segnalato particolare pericolosità. Un aspetto che, invece, sarebbe emerso negli ultimi giorni, come la quantità d’acqua in uscita dalla fronte. Si tratta di informazioni che devono essere raccolte per capire come comportarsi».

Serve, infatti, una gestione del territorio consapevole e un monitoraggio continuo. «I ghiacciai sono tanti ed è quindi impensabile monitorarli strumentalmente tutti. Bisogna fare scelte, focalizzandosi su quelli noti per rischi o fragilità e sulle aree molto frequentate. E incentivare in modo esteso l’osservazione dei corpi glaciali da parte di esperti in grado di identificare i segnali premonitori», spiega Marta Chiarle, specializzata in rischi glaciali, ricercatrice del Cnr-Irpi e coordinatrice per il Cgi delle campagne glaciologiche nel Nord-ovest.

Molti processi avvengono in profondità, sono, allora, utili carotaggi? «Dipende – precisa Chiarle – in ghiacciai come quello della Marmolada, che chiamiamo temperati, dove si suppone che con il rialzo delle temperature circoli più acqua, non darebbero molte informazioni, meglio un monitoraggio dei movimenti superficiali come avviene per il ghiacciaio di Planpincieux in Val Ferret, con l’obiettivo di misurare le accelerazioni superficiali e i rischi di collasso. Diverso invece per quelli in alta quota, cosiddetti freddi, come il Grandes Jorasses, sopra i 4 mila metri sul Monte Bianco, qui il carotaggio in profondità può dare risultati importanti, perché si suppone che la quantità di acqua che circoli sia minima. Si sta, però, indagando se con il riscaldamento climatico possano cambiare comportamento».

Un fatto certo è che il cambiamento climatico può rendere la montagna, soprattutto sopra certe quote, più insicura. «E in casi di rischi potrebbero esserci ordinanze di interdizione del passaggio, con un’attenzione – spiega Chiarle – per le aree più frequentate. Resta comunque un argomento delicato, visto che è sempre stato considerato che chi va in montagna va a proprio rischio e pericolo. Più che divieti generalizzati bisognerebbe fare un discorso caso per caso. Anche quello della Marmolada va analizzato seriamente, per capire in quali altri posti può succedere». Aggiunge, poi, Giardino, ribadendo quanto sia importante il monitoraggio e quanto vada sostenuto: «Dal punto di vista scientifico, noi abbiamo ben presente quali sono i parametri che determinano la stabilità o meno dei ghiacciai. La rapidità con cui il sistema climatico sta cambiando non ha pari negli ultimi 24 mila anni. Possiamo verificare quali sono le temperature, la massa, se compatta o fratturata, e vedere le condizioni del suo appoggio, il substrato».

I ghiacciai sono banche dell’acqua, indicatori climatici per eccellenza. E sono in una situazione di forte stress. Nell’inverno ha nevicato pochissimo, la crisi idrica è al suo massimo, e stiamo intaccando le riserve di ghiaccio. «Abitualmente – dice Chiarle – facciamo il bilancio di massa, misurando quanta neve cade durante l’inverno e poi quanta neve e quanto ghiaccio fonde durante l’estate. In due ghiacciai di cui mi occupo, nel Nord-ovest, è caduta un terzo e un quarto della neve rispetto alla media ed è arrivato molto presto il caldo, già a maggio. La situazione è un mese avanti rispetto a quello che dovrebbe essere. Significa che la neve sparisce prima e inizia la fusione del ghiaccio anticipatamente».

E così, sottolinea Giardino, «intacchiamo la memoria dei ghiacciai». La Carovana dei ghiacciai, giunta alla terza edizione, prenderà il via il 16 agosto sul Monte Bianco e si concluderà il 3 settembre in Friuli. «Abbiamo deciso – conclude Giardino – di comparare i ghiacciai monitorati nel 2020 con le condizioni attuali per documentare la velocità dei fenomeni».