Gas, idrogeno, nucleare. I dubbi della scienza
Previsioni del tempo Intervista a Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale: Se immaginiamo di continuare a usare i fossili, e risolvere tutto assorbendo CO2, siamo fuori strada. I pochi impianti che esistono sono sostanzialmente un flop
Previsioni del tempo Intervista a Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale: Se immaginiamo di continuare a usare i fossili, e risolvere tutto assorbendo CO2, siamo fuori strada. I pochi impianti che esistono sono sostanzialmente un flop
«Dobbiamo usare tutte le tecnologie disponibili: non solo rinnovabili, ma anche gas, bio-combustibili, idrogeno, cattura della CO2 e, in futuro, la fusione nucleare». Al summit sul clima di Baku Giorgia Meloni ha esposto il suo elenco di soluzioni alla crisi climatica. «Ma l’obiettivo deve essere la decarbonizzazione. Se una tecnologia non è adeguata a raggiungere questo traguardo, non è utile» spiega Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale all’Università dell’Insubria di Varese e tra i fondatori della cooperativa rinnovabile èNostra.
Partiamo dal gas: ha senso usarlo come fonte di transizione?
Il gas naturale è un combustibile fossile, e come tale andrà sostanzialmente abbandonato. Da noi in Italia la gran parte del gas è d’importazione, e molte delle nuove scorte vengono liquefatte via nave e poi rigassificate nei porti. In questo processo si verificano perdite importanti, e il metano in atmosfera è 80 volte più climalterante della CO2. Se poi guardiamo al gas statunitense, che compriamo, le cose peggiorano: lo si estrae col fracking, tecnica inquinatissima che comporta ulteriori perdite. La combo di fracking, perdite di trasporto e combustione rischia di rendere il gas una fonte più sporca del carbone dal punto di vista emissivo.
E per quanto riguarda i combustibili bio?
Innanzitutto, è bene specificare che i biofuel appartengono alla famiglia delle rinnovabili. Contrapporre gli uni agli altri è un errore. Detto questo, sono tecnologie che potranno avere un ruolo in settori non elettrificabili – ad esempio, il trasporto aereo. Si tratta però di usi limitati: capite bene che, se disboschiamo l’Amazzonia per fare enormi quantità di biofuel, le cose non vanno. Per questo metto in guardia da chi vorrebbe usarli nell’automotive: è un approccio vecchio, rischioso. In Brasile si fa dagli anni ‘80, e non hanno certo ridotto le emissioni.
Meloni ha citato anche l’idrogeno.
Ecco, anche qui, partiamo dalle basi: l’idrogeno è un vettore, non una fonte. Significa che serve per stoccare energia, non per produrla. Potrebbe avere un ruolo in futuro per quegli stessi settori difficili da decarbonizzare che citavo prima. Ma occhio, chi immagina di immetterlo nelle reti del gas e usarlo come oggi facciamo col metano non conosce la termodinamica. O, di frequente, la conosce, ma intende in realtà allungare la vita del gas e delle sue infrastrutture.
E la cattura della CO2?
Con cattura della CO2 ci si riferisce a un insieme di tecnologie volte a recuperare la CO2 prodotta – o dall’atmosfera o direttamente dagli impianti di combustione. Il punto qui è di scenario. Se immaginiamo di continuare a usare i fossili, e risolvere tutto assorbendo CO2, siamo fuori strada. I pochi impianti che esistono sono sostanzialmente un flop, una visione simile non è nemmeno immaginabile. Se invece pensiamo di usarla per rimuovere la CO2 in eccesso dopo aver raggiunto le emissioni nette zero, allora inizia ad avere senso.
Rimane la fusione nucleare. Meloni dice che siamo in prima linea.
Alla fusione nucleare si lavora da decenni. Oggi ci dicono che potremmo usarla tra trent’anni – ma trent’anni fa dicevano lo stesso! In ogni caso, tra trent’anni sarà il 2050: per quell’ora dovremo aver già azzerato le emissioni. Bene fare ricerca, se esce qualcosa di utile siamo tutti contenti. Ma non è certo il cuore della soluzione.
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