L’Ungheria e la Polonia esprimono da tempo posizioni intransigenti in tema migrazioni. I loro governi affermano che su questo e sul contrasto ai flussi irregolari si trovano in sintonia con la linea dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.

Non si tratta di una sorpresa in quanto è ormai noto cosa pensano le autorità di Budapest e Varsavia su questo argomento. Questi loro punti di vista contribuiscono al rapporto conflittuale che i governi dei due paesi hanno con Bruxelles; essi continuano a contestare la linea seguita dall’Ue tanto da bloccare, recentemente, il passaggio della dichiarazione a 27 a Granada sui flussi migratori. Nella circostanza, Polonia e Ungheria hanno obiettato sul fatto che la decisione sul regolamento delle crisi migratorie sia stata presa a maggioranza qualificata e non all’unanimità.

Insomma, alla fine del summit la Dichiarazione di Granada firmata dai 27 stati membri ha avuto un appoggio unanime in tutto tranne che nella parte riguardante i migranti. Quest’ultima è stata sostituita da una dichiarazione del presidente del Consiglio Ue Charles Michel. In essa si afferma che il fenomeno in questione è una sfida che necessita di una risposta europea, corale e determinata e si fa riferimento alla necessità di non consentire ai trafficanti di decidere chi far entrare nell’Ue, e così via dicendo.

Budapest e Varsavia puntano da anni il dito contro i trafficanti di esseri umani che a loro avviso gestiscono i flussi migratori con la complicità di diverse Ong accusate da Orbán & co. di essere al soldo di magnati e speculatori del capitale internazionale. I governi ungherese e polacco considerano le politiche Ue inadeguate se non conniventi con tale sistema.

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Il riferimento ai trafficanti nella dichiarazione di Michel non basta certo a tranquillizzare Orbán e Morawiecki che, come abbiamo visto, nella circostanza del vertice hanno contestato tra le altre cose il metodo di adozione delle decisioni. Una conclusione tutt’altro che soddisfacente, quella di Granada, per entrambi i premier che in Spagna hanno rilasciato dichiarazioni tali da non lasciare dubbi sul loro giudizio negativo.

Morawiecki ha affermato che da primo ministro è responsabile della sicurezza dei suoi connazionali e che respinge ufficialmente in modo netto il paragrafo del vertice che riguarda il fenomeno migratorio. Ha poi aggiunto che la Polonia è e resterà al sicuro con il governo del PiS. Governo che, come sappiamo, domenica 15 ottobre si affiderà al responso delle urne in una tornata elettorale seguita con grande attenzione all’interno dell’Ue.

In termini di dichiarazioni polemiche e risentite, Viktor Orbán non è stato da meno: a suo avviso, infatti, l’Ungheria e la Polonia sono state letteralmente messe da parte in occasione del vertice e che per questo motivo non vi è stata alcuna di possibilità di trovare un accordo in tema di migrazioni.

Secondo il primo ministro ungherese non ci sono stati i presupposti per arrivare ad un’intesa, e questo a causa di un vizio di fondo che avrebbe ignorato un particolare importante: Orbán ha spiegato che in precedenza si era deciso che gli aspetti riguardanti i flussi migratori sarebbero stati oggetto di decisioni da prendere all’unanimità, allorché la proposta relativa al regolamento sulle crisi migratorie è stata promossa secondo il criterio della maggioranza qualificata nel Consiglio Ue. Quindi l’Ungheria e la Polonia hanno votato contro mentre Slovacchia, Repubblica Ceca e Austria si sono astenute.

Non è certo la prima volta che i leader ungheresi e polacchi denunciano una certa mancanza di considerazione da parte dell’Ue nei confronti delle loro posizioni.

Tra un contrasto e l’altro, sfuma la possibilità di adottare politiche, a livello europeo, che siano veramente il prodotto di una linea pienamente condivisa. Non solo in questo ambito.