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Bronchiolite, il governo è in ritardo e manca il farmaco

Bronchiolite, il governo è in ritardo e manca il farmacoIl ministro della Salute Orazio Schillaci – LaPresse

Sanità Senza un intervento straordinario, costoso, le disparità tra i neonati del Nord e quelli del Sud sono inevitabili

Pubblicato circa 9 ore faEdizione del 4 ottobre 2024

Non è affatto chiuso il caso del nirsevimab, il farmaco preventivo contro la bronchiolite nei neonati che pochi giorni fa aveva costretto il ministro della salute Orazio Schillaci a un frettoloso dietrofront. Dopo averne inizialmente vietato la distribuzione alle regioni in «piano di rientro» – quelle con un bilancio in deficit, praticamente tutte al sud – le proteste avevano convinto il ministero ad allargare l’accesso al farmaco a tutto il territorio nazionale a spese del Servizio sanitario, senza per la verità un piano d’azione chiaro. Nel frattempo, però, neanche le regioni con il bilancio in ordine riescono ad acquistarlo.

Lo fa sapere con una lettera indirizzata al ministro l’assessore per le politiche della salute dell’Emilia-Romagna Raffaele Donini, che rappresenta le Regioni sui temi sanitari. «È utile segnalare – si legge nella lettera – che a oggi molte delle gare regionali effettuate per l’acquisto del nirsevimab sono andate deserte perché la ditta dichiara l’indisponibilità del farmaco per la copertura universale». La scarsità di dosi, insieme alle indecisioni del ministero, sta dunque creando disuguaglianze tra territori «con regioni – prosegue Donini – che hanno disponibilità del farmaco per una campagna universale e regioni che non riescono a proteggere neanche i pazienti fragili».

Il nirsevimab, un anticorpo monoclonale prodotto dalla casa farmaceutica Sanofi, è attualmente inserito in «fascia C» (quella interamente a carico dei cittadini) al prezzo di listino di 420 euro, anche se le regioni che sono riuscite ad acquistarlo con risorse proprie hanno spuntato uno sconto del 40%. Impossibile, a queste condizioni, garantire la copertura contro il virus respiratorio sinciziale che provoca la bronchiolite per tutti i 400 mila bambini sotto l’anno di età, la fascia più a rischio. Una campagna di prevenzione su larga scala richiederebbe l’inserimento del farmaco nella fascia «A», in cui il prezzo di acquisto viene negoziato a livello centrale, solitamente con un notevole sconto sul prezzo, e reso gratuito per i cittadini.

A chiedere l’avvio del negoziato per l’inserimento in fascia «A» deve essere l’azienda e nessuno può costringere Sanofi a sedersi al tavolo del governo e a concedere uno sconto. Se pure ciò avvenisse, il completamento della procedura richiede settimane o mesi, mentre la stagione della bronchiolite è praticamente già iniziata. L’assessore emiliano chiede dunque al ministero che venga attivata una procedura d’urgenza prevista da un decreto del 2019 che autorizza il governo a rimborsare anche farmaci in fascia C «per esigenze di salute pubblica».

Anche questa strada ora appare difficilmente percorribile a causa del ritardo con cui si è mosso il governo. Le dosi ormai scarseggiano. Lo spiega la stessa azienda francese: «L’iter per l’introduzione di nirsevimab sul territorio nazionale è iniziato nel 2023 e Sanofi ha sempre lavorato con l’obiettivo di assicurare produzione e fornitura necessarie per garantire il più ampio accesso possibile a questo innovativo anticorpo, condividendo con le autorità nazionali e regionali la necessità di pianificare i fabbisogni per tempo, in particolare entro i primi mesi del 2024». Non essendo stati rispettati i termini, l’azienda «non è nelle condizioni di rispondere alle procedure pubbliche di acquisto regionali in atto e a quelle che potranno essere indette nelle prossime settimane». Una procedura nazionale, dunque, dovrebbe anche definire quali categorie a rischio debbano ricevere il farmaco in via prioritaria, tenendo conto che le dosi saranno limitate.

Se il ministero intendesse farsi carico della campagna di prevenzione, dovrebbe affrontare il nodo delle risorse economiche. Garantire la copertura universale costerebbe circa cento milioni di euro e non sono risorse immediatamente disponibili. Lo stesso Donini nei giorni scorsi ha evidenziato come la spesa per l’acquisto dei farmaci sia fuori controllo e che molte regioni già fatichino a far quadrare i conti, alla luce dei fondi che il governo ha destinato loro con l’ultima finanziaria. Inoltre, la legge di bilancio in preparazione prevede «sacrifici per tutti», come ha specificato ieri il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti e non è facile trovare la copertura proprio adesso per spese impreviste. Sanofi intanto fiuta l’affare, perché nulla come un’emergenza di sanità pubblica costringe i governi a concedere condizioni vantaggiose per le case farmaceutiche.

Senza un intervento del ministero, tuttavia, lo scenario potrebbe farsi anche più complicato: le Regioni andrebbero in cerca di dosi in concorrenza tra loro, generando inevitabili disparità nel livello di protezione offerto ai neonati. Prima ancora di compiere un anno, i bambini imparerebbero che nascere in certe regioni è più sicuro che in altre: una lezione in fondo utile in vista dell’autonomia differenziata.

Il guaio non arriva per caso. Il settore della prevenzione a cui sono affidate le campagne di sanità pubblica è quella più trascurata al Ministero della salute da quando la destra è al governo. Alla direzione generale che sovrintende il tema il ministro Schillaci ha voluto Francesco Vaia, più noto per le ospitate televisive, i problemi giudiziari e la discussa gestione dell’emergenza Covid alla guida dell’istituto Spallanzani di Roma che per le sue competenze. Nello scorso giugno, il ministro ha nominato a capo del Dipartimento della prevenzione – che ha inglobato la direzione generale di Vaia – Maria Rosaria Campitiello, ginecologa del tutto priva di esperienza nel settore strategico a lei affidato.

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