Cresce la migrazione sanitaria dal sud
Diritto alla salute Più soldi nelle casse delle regioni del nord. Così le diseguaglianze aumentano a favore di chi stava già meglio. Il passivo della Calabria affonda da -273 a -294 milioni. Campania sotto di 285 milioni. Con l’autonomia differenziata la spirale può avvitarsi definitivamente
Nel 2023 un milione di italiani è andato a curarsi fuori dalla propria regione, quasi sempre spostandosi da sud a nord. Il valore economico delle prestazioni svolte fuori regione dunque aumenta dai 4,3 miliardi di euro del 2022 ai 4,6 dell’anno successivo.
Sono i dati emersi dall’ultima riunione della Conferenza Stato Regioni, che ha approvato il riequilibrio dei finanziamenti a favore delle regioni che accolgono più pazienti. Per le cure fornite agli assistiti non residenti, infatti, è previsto un sistema di crediti e debiti tra i territori in modo che le regioni da cui partono i viaggi della speranza rimborsino quelle di destinazione.
L’AUMENTO DEL VALORE complessivo mostra che le disuguaglianze sanitarie aumentano a favore di chi stava già meglio. In Lombardia il saldo migratorio è più florido: nel 2023 tocca in valore i +579 milioni, 29 milioni più dell’anno precedente. La meta che cresce di più è l’Emilia Romagna, dove la sanità è quasi tutta pubblica: il valore delle prestazioni a cittadini di altre regioni è balzato da 654 a 722 milioni, per un saldo di +465 milioni.
Segno positivo anche nei bilanci di Veneto, Toscana e del piccolo Molise, unica regione del mezzogiorno ad attrarre i pazienti. Per il resto, conti in pari o in rosso, soprattutto al Sud. Da Roma in giù tutte peggiorano il saldo migratorio sanitario.
Il passivo della Calabria affonda da -273 a -294 milioni di euro, così come quello della Campania, sotto di 285 milioni. Pesante il rosso (-171 milioni) del Lazio, quarta regione per attrattività dopo Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto ma prima per i rimborsi in uscita.
Il dato si spiega almeno in parte con il singolare caso dell’ospedale Bambino Gesù di Roma. L’ospedale monopolizza le cure pediatriche della capitale e vanta crediti che da soli valgono quanto quelli di Toscana o Piemonte. Ma essendo una struttura extraterritoriale di proprietà vaticana i suoi conti non finiscono nel saldo del Lazio. Se fossero inclusi, il bilancio della Regione diventerebbe positivo per quasi cento milioni di euro.
IL VALORE COMPLESSIVO della mobilità sanitaria è una misura indiretta delle disuguaglianze percepite dai pazienti. Prima della pandemia che ha frenato i trasferimenti, il fenomeno sembrava essersi stabilizzato e anzi aveva iniziato un timido riassorbimento: nel 2019 il valore della mobilità interregionale era sceso a 3,9 miliardi di euro. L’aumento degli ultimi anni segnala che il divario nord-sud è ripartito a tutta velocità.
Anche se i flussi finanziari potrebbero suggerirlo, quello della mobilità non è un gioco a somma zero, in cui le spese vengono semplicemente spostate da una regione all’altra. Curarsi fuori regione comporta costi supplementari che ricadono interamente sulle tasche dei privati ma sfuggono ai bilanci sanitari: basti pensare alle spese sostenute dai familiari che assistono i pazienti ricoverati lontano da casa. La sanità diseguale dunque costa complessivamente di più e lo squilibrio punisce i residenti delle regioni più povere e sguarnite. Con l’autonomia differenziata la spirale può avvitarsi definitivamente.
Che il rischio sia concreto lo dimostra l’«incidente» del nirsevimab, l’anticorpo contro il virus respiratorio sinciziale che viene somministrato alla fine dell’autunno ai bambini fragili per evitare le bronchioliti gravi. Mercoledì, una nota emanata dal ministero della salute aveva vietato la fornitura gratuita del farmaco nelle regioni sottoposte a «piano di rientro», un programma di rigore finanziario che mira a ridurre le spese per riequilibrare bilanci dissestati.
Guarda caso, le regioni in «piano» sono Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, cioè tutte al centro-sud. Stando alla nota, dunque, il farmaco sarebbe stato gratuito nelle regioni ricche e a pagamento in quelle più povere.
Dopo le proteste dell’opposizione per l’ennesima ingiustizia, giovedì il ministro della salute Orazio Schillaci ha dovuto annunciare un’imbarazzata marcia indietro e ieri ha spedito i suoi uffici all’Agenzia italiana del farmaco per «individuare una soluzione rapida per eliminare disparità di trattamento». Il nirsevimab sarà spostato dalla fascia C alla fascia A dei farmaci a carico del Ssn su tutto il territorio nazionale.
NON È L’UNICA GRANA per il ministro. Lo scontento tra i sanitari infatti è sempre più evidente. Medici e infermieri chiedono al governo chiarezza sulla prossima legge di bilanzio e sulla responsabilità medica. Le sigle Anaao, Cimo e Nursing Up hanno indetto una manifestazione per il 20 novembre. Dal governo non arrivano garanzie. Il ministro dell’economia Giorgetti a Parma per il festival di Open parla di un generico impegno a «tenere la spesa per la sanità rispetto al Pil». Ma non spiega se sarà recuperata l’inflazione o se si tratterà di un nuovo taglio. Ancor più timido Schillaci: «Cifre non ce ne sono».
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