Berlino, la stagione della repressione e la ragion di stato
In Germania Istituzioni e artisti solidali con la Palestina vengono estromesse e intralciate in modi sempre più creativi e violenti
In Germania Istituzioni e artisti solidali con la Palestina vengono estromesse e intralciate in modi sempre più creativi e violenti
La stagione primavera estate della repressione a Berlino si è inaugurata su molteplici fronti. Dal lato istituzionale con risvolti reazionari all’interno della performance di Tania Bruguera all’Hamburger Banhof basata su Hanna Arendt; allo sgombero violento il 26 Aprile dell’acampada, precedentemente autorizzata, nei prati vicini al Bundestag; ai ritornelli tecno pop «Fuori gli stranieri, Germania ai tedeschi» in un video virale sui social media di sbraidanti rampolli della nativa alta borghesia corredati da saluti nazisti durante un apericena all’aperto nell’esclusiva isola di Sylt; a metà Maggio con lo sgombero dell’occupazione alla Università Humboldt, alma mater di Marx e Marcuse; alle immagini di celerini tedeschi che arrestano un padre con un bambino rei di sventolare una bandiera palestinese ad una pacifica manifestazione per la Palestina fino al divieto governativo di mostrare il triangolo rosso a punta in giù. La deriva iper autoritaria tedesca non risparmia minorenni, figure geometriche, manifestanti pacifici e intellettuali pur di imporre l’onnipresente Staaträson, la vituperata obsoleta ragione di Stato, evidentemente mai sopita, e rispolverata in pompa magna dal 7 Ottobre.
Banu Cennetoglu e Pilvi Takala
Proseguiamo con ordine. A fine Febbraio Banu Cennetoglu e Pilvi Takala, due artiste molto conosciute nel circuito internazionale, si vedono costrette a cancellare le rispettive mostre personali previste alla Neue Berliner Kunstverein, una galleria comunale d’arte contemporanea nota per il suo engagement politico.
In una dichiarazione congiunta, Cennetoglu e Takala hanno affermato che: «All’inizio del 2024 abbiamo tentato di avviare un dialogo con n.b.k. per rispondere alle nostre preoccupazioni riguardo al genocidio in corso in Palestina, così come al silenziamento delle voci palestinesi e dei loro alleati all’interno della scena culturale in Germania». «Nonostante le nostre speranze di collaborazione, le nostre conversazioni hanno rivelato che n.b.k. non è disposta a modificare le proprie attuali politiche interne per dimostrare qualsiasi disaccordo con le politiche repressive dello Stato tedesco. Inoltre, hanno rifiutato di accogliere qualsiasi gesto artistico da noi proposto che mirasse alla solidarietà collettiva con la Palestina». La n.b.k. ha successivamente dichiarato che: «Vogliamo rimanere un’istituzione autonoma e indipendente da influenze esterne, che promuova il dialogo aperto e dove tutti i partecipanti e gli artisti possano sentirsi al sicuro» aggiungendo «Siamo preoccupati per il modo in cui i conflitti vengono sempre più utilizzati per promuovere interessi individuali e riteniamo fondamentale evitare di assumere posizioni politiche predeterminate». Come l’adesione di Cennetoglu e Takala alla campagna di boicottaggio strikegermany.org possa promuovere interessi personali rimane tutta da capire. Una retorica quella della n.b.k. che elogia l’assenza di presa di posizione e conferisce importanza ad artisti che seguono la linea del consenso al governo, censurando di fatto prese di posizioni e negando pratiche di soggettivazione politica sul genocidio in corso. A Settembre aprirà in questa sede la tappa tedesca della grande mostra su Pasolini inauguratasi al Palazzo dell Esposizioni a Roma nel 2023. Pensare a questo grande intellettuale italiano in tale contesto, che del prendere posizione attiva contro le repressioni di Stato e non, fece motivo centrale della sua vita, è raccapricciante.
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Pasolini, ultimo attoTania Bruguera
Intorno a metà Marzo l’artista dissidente ed attivista cubana Tania Bruguera è stata invitata a tenere una performance al museo statale Hamburger Banhof dal titolo Where your Ideas become Civic Actions (Dove le tue idee diventano azioni civiche) per la quale ha previsto di leggere insieme ad altri ospiti, da lei invitati o che si possano presentare seduta stante, per 100 ore consecutive l’opera di Hannah Arendt ‘The Origins of Totalitarianism’ (Le origini del totalitarismo). L’intento era di usare lo spazio a disposizione per discutere con il pubblico di potere, violenza, politica e verità in un periodo politicamente convulso in Germania. La presenza di attiviste/i del movimento per la Palestina arrivate il sabato pomeriggio, in seguito ad un invito informale dell’artista stessa, per contestare il silenzio delle istituzioni berlinesi ed anche quello dei curatori del museo stesso, non viene però recepita bene, anzi non viene recepita affatto. Il curatore Sam Bardouil e l’artista reagiscono argomentando che i contestatori dovrebbero essere educati, argomentare con pazienza e mantenere un contegno adeguato all’impostazione asettica dello spazio performativo museale. Stigmatizzando immediatamente la contestazione come incivile e inaccettabile non coltivano uno scambio, al punto che l’artista stessa discutendo animatamente di forma ma non di contenuti suppone che la cosa possa diventare violenta chiedendo ad una contestatrice se abbia con se una pistola. Il pubblico astante assiste in silenzio, una o due persone chiedono impassibili di continuare la lettura. Quando la realtà berlinese irrompe sulla scena Bruguera non riconosce la legittimità di una contestazione alla repressione politica e culturale dell’ambito istituzionale occidentale in cui opera, che in quel momento si costituisce ‘azione civile’, anzi ne amplifica la repressione in un’emblematica istantanea sullo ‘stato dell’arte decoloniale’ a Berlino oggi. Un’occasione mancata di accogliere una contestazione contro la censura e la repressione di Stato, in un contesto istituzionale eccessivamente addomesticato da un’artista che ha definito la sua carriera nell’attivismo contro il «regime totalitario cubano».
L’università di Colonia ad inizio Aprile ha rescisso l’invito per la prestigiosa Albertus Magnus professorship alla filosofa Nancy Fraser per aver firmato la lettera «Philosophy for Palestine» in sostegno alla causa palestinese. In un’intervista la filosofa politica ci tiene a sottolineare che appena preavvisata da un collega tedesco della possibile cancellazione, risponde che non avrebbero dovuto dubitare della sua capacità di sostenere discussioni pubbliche importanti e rispettose delle varie opinioni e parti in causa. Nonostante questo le viene comunicato ufficialmente dal rettore che se non fosse tornata sui suoi passi avrebbero disdetto l’impegno preso.
Il 26 Aprile la acampada di attivisti e studenti contro il sostegno della Germania al genocidio in corso a Gaza, munita di autorizzazione del comune, senza alcun segnale o previa richiesta di sfollare è stata attaccata dalle forze dell’ordine che hanno violentemente sgomberato i campeggiatori ed attivisti/e oltre ad arrestare dozzine di sostenitori che erano accorsi sul luogo, nonostante ciò l’accampata è riuscita a resistere a lungo con tattiche pacifiche. Il giorno precedente, 25 Aprile, avevamo contribuito ad organizzare in supporto del Besetzung gegen besatzung (Occupazione contro l’occupazione) una piccola ma ben condita celebrazione della Liberazione italiana con varie versioni di Bella ciao e discorsi inter-generazionali sulla nostra liberazione e la liberazione palestinese cercando di mappare ed aggiornare una genealogia internazionalista.
Femministe
A Maggio l’associazione femminista di assistenti sociali Frieda e.V. ha subito una grave ingerenza dall’ufficio distrettuale di quartiere guidato dal consulente per la gioventù Max Kindler (Cdu) che a seguito di un like personale ad un post pro Palestina di una delle manager ha deciso di cancellarne i fondi per il mantenimento di due delle sue sedi e consultori, Phantalia ed Alia, che si occupano della salute fisica e mentale di giovani teenagers in difficoltà nel quartiere di Kreuzberg. Questo mentre sulla rivelazione a mezzo stampa che un vicino della sede Phantalia abbia ripetutamente assalito le lavoratrici e visitatrici del centro con epiteti inneggianti al nazismo, e che fosse in possesso di armi, nessuna autorità, inclusa la polizia, sia mai intervenuta.
Nello stesso periodo gli studenti hanno occupato l’istituto di scienze sociali della Humboldt Universität di Berlino rinominandolo Jabalia Institute, a seguito delle occupazioni in tutto il mondo e del campeggio contro il genocidio a cui molti di loro avevano partecipato davanti al parlamento tedesco. La rettrice dell’università ha cercato di prendere tempo aprendo un dialogo mentre la senatrice della città per la scienza, la salute e la cura Ina Czyborra (Spd) ed il sindaco Kai Wegner (Cdu) si sono arrogati il diritto di intervento stigmatizzando gli studenti come violenti ed anti semiti, inviando la polizia per lo sgombero dopo solo 30 ore.
I camion della polizia antisommossa hanno chiuso l’accesso al campus, separando gli studenti accampati dalle persone accorse a sostenerli, inclusi i tanti studenti e professori che uscivano dalle prime ore di lezione. La polizia ha poi sfollato e detenuto gli studenti pacifici con estrema violenza. Tuttora la presidenza dell’università vuole aprire un fascicolo sugli occupanti a cui far seguire delle espulsioni (ex matricula) per attività politica.
La ministra federale dell’Istruzione e della Ricerca Bettina Stark-Watzinger del Partito Democratico Libero (FDP) ha pubblicamente condannato gli accademici di varie università firmatari di una lettera di sostegno agli studenti occupanti violentemente sgomberati. La lettera comunque non verteva su la loro causa in sé, che è quella di fermare il genocidio e tutti i legami economici e accademici dell’università con Israele, nonché di riconoscere il passato colonialista del paese ma era indirizzata ad una generica preoccupazione democratica percui rientri nel ruolo accademico il proteggere i propri studenti. Nonostante questo la ministra ha definito la dichiarazione «scioccante» e li ha accusati di «banalizzare la violenza» ed ha aggiunto di voler revocare i fondi a qualsiasi ricercatore universitario sostenga anche solo con un like sui social media la causa palestinese. Senza neanche menzionare i criteri di tale affermazione. Successivamente la Bild, il quotidiano più venduto in Germania, un tabloid razzista e di destra, ha pubblicato in prima pagina i nomi e i luoghi di lavoro di molti accademici firmatari corredati da alcune foto in primo piano.
La mostra fotografica collettiva di artisti irlandesi ‘Changing states’ alla Haus am Kleistpark di Berlino, parte delle celebrazioni ufficiali della stagione Zeitgeist Irland 24, a Giugno viene boicottata dagli artisti stessi che si ritirano, tra cui Mark Curran, Kate Nolan e Clare Gallagher, in sostegno a strikegermany.org e contro la repressione verso i palestinesi in Germania e la censura di Stato in arte e cultura. Di taglio opposto sono invece le dichiarazioni di Hito Steyerl, rinomata artista tedesca distintasi già lo scorso anno con il suo mancato sostegno a documenta 15 contro cui chiuse una sua installazione in mostra, che ci tiene a sottolineare l’eccesso di artisti stranieri dissenzienti in Germania, che neanche parlano bene la lingua, come un fattore di destabilizzazione della vita culturale tedesca. Una perfetta eroina creativa degli anti-Deutsch.
Ricordiamo che la campagna di strikegermany.org verte sulla solidarietà dei lavoratori dell’arte, accademici, autori ed artisti internazionali a non accogliere inviti ufficiali a partecipare alla vita culturale ed artistica istituzionale del paese. Come a rimanere informati sulla continua e brutale repressione dei palestinesi in Germania e dei loro alleati e della repressione in corso delle stesse istituzioni culturali ed artistiche tedesche che censurano ogni solidarietà con la causa palestinese negando l’accesso ai fondi pubblici ed esigendo controlli sui social media di ogni artista invitato/a ad esporre che possa anche accidentalmente manifestare solidarietà.
L’unica istituzione, oltre ad Oyoun, che da mesi ospita incontri, rassegne e workshops sulla Palestina e contribuisce a costruire il dissenso è Spöre Initiative, un’istituzione privata aperta recentemente nel quartiere di Neukölln, il cui programma ed operato è infatti assente nei media tedeschi.
È di inizio Luglio la notizia che per questioni politiche sia possibile deportare senza previa prassi di giudizio chiunque sostenga con un like nei social media un qualsiasi post per la Palestina.
A fine Agosto un gruppo di intellettuali e attivisti ebrei residenti in Germania, tra cui Michael Barenboim, Udi Raz ed Emilia Roig ha sottoscritto un’aspra critica contro una risoluzione in discussione tra le componenti governative riguardo la protezione della vita degli ebrei in Germania. La lettera sottolinea come la risoluzione pretenda di salvaguardare la vita degli ebrei mentre in realtà la metta gravemente in pericolo.
La realtà tedesca è asfissiata da un governo che sbanda e che non rivela alcuna abilità nell’affrontare il contesto internazionale e lo strutturale razzismo insito nella sua società, ed anzi dimostra di voler lasciare ampio spazio alla crescita della destra xenofoba e nazionalista come il partito dell’Afd cui legittimità parlamentare veniva messa in dubbio fino ad un anno fa. Il consenso contro i fascismi che il centro sinistra (Spd) ed i verdi cercano di radunare, e con essi i gruppi di base come Fridays for future e le Omas gegen rechts (Nonne contro la destra), difficilmente riuscirà a diventare segno coeso di una reale difesa democratica ed anti fascista della società civile senza l’inclusione e la partecipazione attiva dell’ampio movimento per la Palestina libera e contro un’Europa guerrafondaia.
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