L’omicidio è un reato per cui si procede d’ufficio e basterebbe che la Procura leggesse ogni corrispondenza relativa al delitto Pasolini per rendere inutile ogni richiesta di riapertura delle indagini.
Anni fa, Graziella Chiarcossi rilascia un’intervista a La Repubblica dalla quale sono deducibili tre dati sui quali nessuno ha mai voluto indagare. Troviamo il computo delle pagine di Petrolio che, fatti i debiti conti aritmetici, stabiliscono senza alcun dubbio che «Lampi su Eni», un appunto che non comparirà mai nell’edizione destinata alla stampa, esiste ma nessun lo trova («Ricordo la sua felicità quando prendeva in mano le seicento pagine del dattiloscritto…»). Inoltre, Chiarcossi asserisce di aver ricevuto alle 2 del mattino la visita di due carabinieri che le comunicavano di aver ritrovato l’auto del cugino. Prassi davvero insolita! Se venisse rinvenuta l’auto di un comune mortale, gliene sarebbe data comunicazione in orari d’ufficio. Ma, verosimilmente, i militi avevano fretta di comunicare il ritrovamento per un particolare insolito: l’Alfa di Pier Paolo insospettiva la pattuglia perché aveva ambedue le portiere aperte.

Su questo particolare ritorneremo. Il terzo elemento scaturisce dall’angoscia che improvvisamente pervade la cugina dello scrittore. Si veste ed esce alla ricerca di una cabina telefonica – sappiamo che la sua/loro linea telefonica è fuori servizio per non meglio precisati guasti, in verità verremo a sapere che la cabina di riferimento era stata sabotata-. Chiama Ninetto Davoli (siamo arrivati più o meno alle 4) il quale le riferisce che Pier Paolo è morto. Ci fermiamo qui per interrogarci: come fa Ninetto a sapere del dramma andato in scena a tre ore dalla sua rappresentazione!? Nessun inquirente ha ritenuto di indagare? Come ha saputo Ninetto del delitto? Lo ha saputo perché anche lui, come il suo mentore, era in giro come «un cane senza padrone» o perché qualcuno lo ha avvertito? E, in entrambi i casi, perché non si è portato nel primo posto di Polizia per una denuncia ancorché contro ignoti? Ci sembra una ragione plausibile per il diniego che Davoli ha sempre opposto ad ogni richiesta di intervista su Pasolini.

Torniamo all’ora del ritrovamento: le 4,4:30 del mattino. Accorre sulla spianata dell’Idroscalo il gen. Antonio Cornacchia, allora Maggiore, Comandante del Nucleo Reati contro la Persona, 1a sezione.
Perché un graduato dell’Arma, con compiti di tale responsabilità, corre in una terra di nessuno per la presenza di un cadavere in piena notte? Il militare asserisce di essere stato chiamato. Da chi, se non esistono cellulari e non si scomoda un militare di quel livello per un morto ammazzato? Cornacchia, che è persona di rara intelligenza, sa che le obiezioni che gli ho mosso hanno un impiantito solido. Nonostante i suoi sottoposti siano convogliati sul posto per i rilievi del caso, perché lascia che si «appalti» il caso alla Polizia di Stato? Sarà infatti la Polizia, nella mattina successiva, ad accorrere sul luogo del ritrovamento (e a permettere che la scena del crimine sia inquinata da ragazzetti che giocano al pallone e da curiosi che calpestano un’area che era da recintare). Ipotizziamo che chi chiama il futuro generale siano due carabinieri, Cuzzupé e Silvestri, che stazionano ai bordi del campo. Sono gli unici che possono farlo, essendo dotati di radiomobile. Sono quelli che intimano l’alt, durante la mattanza, a Misha Besseldorf, l’ebreo russo che è in transito per Ostia e che è stato svegliato dalle grida di Pasolini. Gli chiedono i documenti e gli intimano subito dopo il controllo di rinchiudersi in casa (Misha dorme in una delle tante baracche). Sono quelli che arresteranno, di lì a poco, Pino Pelosi su ordine superiore perché venga confezionato, da subito, il capro espiatorio. Cuzzupé e Guglielmi non hanno colpe, obbediscono ad ordini superiori. Inoltre, risultò che fossero in servizio al Ministero con mansioni di impiegato e non di pattuglia ad Ostia.

È stato Giuseppe Mastini, alias Johnny lo Zingaro, a sormontare il corpo di Pasolini (è un fatto documentale, è agli atti) ma non alla guida dell’auto di PPP. Antonio Mancini racconta che, in un breve incontro in borgata con Johnny, incontra il ragazzino (ha appena 13 anni) che gli chiede di fare un giro con la sua Ferrari. Quello è titubante ma alla fine cede e gli affida la macchina. Lo Zingaro dimostrerà di avere un’abilità alla guida insospettabile. Probabilmente Johnny, nel sormontare il corpo del poeta, eseguirà un ordine dato da un adulto. La suggestione ci viene da un episodio raccontato da Abbatino allorché Renzo Danesi passa sul corpo d Franco Nicolini con la macchina. Non stiamo assolutamente dicendo che Danesi sia in qualche modo coinvolto solo che l’episodio occorso all’Idroscalo sembra una firma, come ha giustamente rilevato Giovanni Giovannetti. Parlando del plantare che apparterrebbe a lui, esso presenta due tagli effettuati con un cutter. Uno sotto l’alluce, l’altro proprio all’inizio dell’incavo segno che il portatore aveva in quei punti callosità resistenti e mai resecati. C’è poi un alone scuro che interessa l’alluce, il melluce e parte del trillice segno che il portatore era solito poggiare il piede con la punta e non con il tallone e, verosimilmente, poteva avere le dita ad artiglio comunemente dette ‘a martello'(una visita podologica degli inquirenti al piede della gamba offesa non lederebbe alcun diritto). Nel lasciare l’Idroscalo in sella all’Alfa di Pasolini, Mastini prende a bordo Pelosi il quale, pochi metri dopo, ha conati di vomito e chiede all’amico di fermare. Quello arresta il veicolo e lascia Pino al suo destino. Johnny lascerà l’auto sulla Tiburtina, tra via Cervesato e via Facchinelli; una traversa successiva è via Diego Angeli dove lo Zingaro dorme in una roulotte insieme ai suoi (il padre gestisce una giostra nella vicina piazza Riccardo Balsamo Crivelli). A seguire, Cuzzupé e Guglielmi arrestano Pelosetto. Falsa dunque la vulgata che vuole il Pelosi correre all’impazzata sul lungomare (guida malissimo, fra l’altro, un’850 detenuta senza patente e stirare il motore di una GT è roba da grandi). La narrazione ci venne dal Cap.dei CC Sandro Capotosto in forza ai Servizi Segreti incontrato in modo rocambolesco, dopo molti tentativi, al bar Crismi di Monteverde in via Ozanam. Lo cercavamo da tempo immemore, ci diede appuntamento al bar. Mi rivelò tutto senza mai guardarmi in faccia. All’uscita venni fermato da Carabinieri in divisa che mi perquisirono -con cortesia debbo dire- e mi rilasciarono con tanto di scuse. Erano verosimilmente comandati da Capotosto, cercavano forse un registratore?

D’altronde, perché meravigliarsi se c’è del marcio in Danimarca? L’ordine di stuprare Franca Rame venne da Vito Miceli. E il Comandante della Pastrengo Giovan Battista Palumbo brindò a champagne una volta che i neofascisti comandati alla bisogna gli riferirono della missione compiuta (fonte: Niccolò Bozzo). E Vito Miceli tormentò per tutta la vita Pasolini, ingiuriandolo continuativamente e senza il minimo senso del decoro vista la divisa che indossava. E non furono dei carabinieri, felloni anche questi, che tentarono di insabbiare l’omicidio di Peppino Impastato facendolo passare per suicida a ragione di una lettera in cui Peppino affidava tutto il suo scoramento per un lavoro che non dava frutti?

Sono anni che lavoro alla tesi di una compromissione in questo affaire della Banda della Magliana o a componenti di essa. La foto iconica, che qui ripubblichiamo, mostra un giovane Abbatino (in alto a dx): il primo a riconoscerlo è stato Carmelo Abate, in seconda battuta Maffeo Bellicini, da ultimo la sua fidanzatina di allora, che portava un cognome importante nel mondo della mala; Maffeo Bellicini ha riconosciuto pure Barbieri e Selis. Non ho mai scoperto quale fosse il grado di compromissione di Abbatino ma certo è perlomeno strano che il Nostro, in assenza di cellulari, fosse all’Idroscalo la mattina presto: chi lo aveva avvertito? E non è perlomeno curioso che ci fossero, in quel contesto, tre elementi della Banda? Passi per Selis, che ci viveva in un quartiere abitato solo da sardi, ma Barbieri? D’accordo, i due gestiscono in zona un poligono di tiro ad uso e consumo della mala ma strano che alle 9 del mattino ci sia questa rimpatriata. Sappiamo che fino al ’77, atto di costituzione della Bandaccia, i componenti della futura associazione erano al soldo del Clan dei Marsigliesi. Abbatino smentisce l’assioma dicendo che già da allora i due gruppi erano autonomi. Lo dice in una lunga intervista a Raffaella Fanelli composta poi in volume laddove mi cita, senza fare il mio nome, come di colui che per primo azzardò l’ipotesi. Frequentavo il suo avvocato d’allora, Alessandro Capograssi, che cercò di fare da intermediario sottoponendogli la foto: quello oppose un diniego. Da ultimo ha fatto girare un documento ufficiale in cui si dimostrerebbe la sua detenzione nell’anno 1975. Ora, un funzionario dello Stato (che mi ha ‘invitato’ a non fare il suo nome pena spiacevoli ritorsioni) mi ha confidato che, estemporaneamente, detti certificati venivano alterati e che, in una via laterale del carcere di Regina Coeli esisteva ed esiste una porticina di metallo da dove molti carcerati potevano uscire, diciamo dalle 22 alle 6 del mattino seguente, per il disbrigo di pratiche ‘urgenti’. Altrimenti, come avrebbe fatto Abbatino a dichiarare di essere coinvolto nel furto delle pizze di Salò nello stesso periodo in cui avrebbe dovuto essere in stato di reclusione? È Nicola Gallo a dire che fu De Pedis a farle ritrovare. Fermo restando che quella notte fu Jacques Berenguer a capitanare il drappello punitivo, ecco che il Clan e la Banda risultano legati a filo doppio nell’assassinio di Pier Paolo Pasolini. Ripeto: ignoro ancora quale fosse il grado di compromissione ma sono certo che ci fosse (Abbatino è ripreso nell’atto di guardare il cadavere di Pasolini come fa Maurizio Tramonte a Brescia in piazza della Loggia con lo sguardo rivolto al cadavere di Alberto Trebeschi).

Il drappello punitivo è capitanato da Jacques Berenguer (un pavido a detta di Bellicini e che si aiutò, per l’operazione, di molta coca). C’erano i fratelli Borsellino, c’era Giuseppe Mastini (è agli atti ma lui deve negare; è stato collaboratore di giustizia e nessuno lo incriminerà mai per questo reato), Sergio Placidi il prosseneta, tale Giorgio Capece, Antonio Pinna, quattro picchiatori neofascisti di prima fascia (tre viventi, uno deceduto, i cui nomi ho affidato ad un magistrato), con tutta probabilità Concutelli ma qui bisognerebbe sciogliere un dubbio: si è parlato di un uomo robusto con la barba che parlava il vernacolo siciliano e i dati ne confermerebbero la presenza ma c’è un’altra persona, vivente, che risponderebbe pure alla descrizione. È verosimile che sulla scena del crimine ci siano anche due giovani balordi, Albino e Scimmietta, che qualche ora prima avevano sequestrato il giornalista Diego Cimara per estorcergli del denaro. Scimmietta, che possedeva un’auto identica a quella di Pier Paolo, quella stessa notte andò a schiantarsi contro il muro di cinta del Villaggio Tognazzi a Torvajanica morendo sul colpo. La Polizia non collegò mai la morte all’affaire Pasolini, i Tognazzi non ne seppero mai nulla.

Il complotto era stato ordito alla Permindex o CMC, a due passi a piedi dalla casa di via Eufrate. La Permindex era la longa manus della CIA in Italia. Al suo interno allignava Giorgio Zeppieri che si distinse da subito per una crociata senza quartiere contro lo scrittore. La campagna di discredito culmina nella denuncia di un benzinaio (quella che avrebbe visto il ‘rapinatore’ munirsi di una pistola che sparava proiettili d’oro), sono riconducibili a Zeppieri le minacce di morte allo scrittore nonché vari tentativi d’aggressione.

Per tornare al concetto dei cerchi concentrici, ci viene in soccorso Vincenzo Vinciguerra che così ‘giustifica’ la mattanza: «È mia opinione che il passo fatale compiuto da Pasolini sia stato il suo ultimo lavoro nel quale non c’è solo l’offesa alla RSI, ma a tutte le forze armate. Cantare la canzone della Julia in Grecia, «Sul ponte di Perati», durante un’orgia poteva evitarlo (raccomandata del 12/2/’16, archivio personale)».

All’Idroscalo, quella notte, si consumò un sabba, ovvero un rito apotropaico per cacciare da sé comunismo e omosessualità ovvero la continuazione dello stragismo, dopo piazza Fontana e piazza della Loggia, all’amatriciana. Vidi per l’ultima volta Pasolini da «Pommidoro» qualche ora prima che venisse massacrato, lui con Davoli. Io ero con un musicista, Gianfranco Pernaiachi e, prima di guadagnare il nostro tavolo, lo salutai con i soliti convenevoli: «Come va?», «L’umanità mi fa schifo» rispose in modo laconico e con lo sguardo perso.