Battisti in fuga tra confini e codici penali, fino al «no» di Morales
La svolta boliviana Catturato grazie alle briciole lasciate dal cellulare. Nessuna risposta alla richiesta di asilo politico. Il presidente boliviano, unico leader di sinistra presente all'incoronazione di Bolsonaro, non se l'è sentita di mettere a rischio le ingenti esportazioni di gas verso il Brasile
La svolta boliviana Catturato grazie alle briciole lasciate dal cellulare. Nessuna risposta alla richiesta di asilo politico. Il presidente boliviano, unico leader di sinistra presente all'incoronazione di Bolsonaro, non se l'è sentita di mettere a rischio le ingenti esportazioni di gas verso il Brasile
E alla fine Morales ha detto basta. Si conclude in Bolivia, in una stanza di Palacio Quemado a La Paz, la storia di una lunghissima fuga attraverso i confini di Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Capo Verde, Messico, Brasile e Bolivia, i loro codici penali, il loro tempo e i loro conflitti.
È IL PRESIDENTE DELLA BOLIVIA ad aver chiuso una partita iniziata nel 1972 con un ragazzino appena maggiorenne che fa una rapina a Frascati e conclusa 46 anni dopo a Ciampino quando un uomo esausto e in età da pensione scende la scaletta di un Falcon 900. Lo scalo romano è un set cinematografico, allestito per celebrare il grande successo di un governo dal consenso traballante. Ma Cesare Battisti non è Carlos «lo sciacallo», non è – e non è mai stato – all’incrocio di alcun segreto, non è stato strappato a un’internazionale di terrore e narcotraffico. E il «grande successo» italiano ha più a che fare con la fabbrica del consenso che con la giustizia.
La sera di sabato 12 gennaio a Palacio Quemado – che significa «bruciato», per le volte che è andato a fuoco nel paese che ha il record mondiale dei colpi di stato – Evo Morales stabilisce che la Bolivia rimanderà Battisti in Italia per «ingresso illegale», senza riportarlo nel Brasile dal quale è arrivato. Da giorni la polizia boliviana – e varie altre, da quella italiana all’Interpol – lo ha individuato, seguendo le briciole del suo cellulare. Ha attraversato il confine il 17 dicembre ed è a Santa Cruz de la Sierra, città pianeggiante e sub-tropicale di un paese altrimenti andino.
HA CHIESTO SUBITO ASILO politico, Battisti, presentando il 18 dicembre all’ufficio del difensore civico di La Paz quattro cartelle con la sua versione della storia. Quando il poliziotto attraversa la strada e gli punta la pistola, Battisti capisce che la richiesta è stata rifiutata.
Da settimane Morales discuteva con un pezzo del suo governo (e dei movimenti sociali che lo sostengono) a favore dell’asilo e contro l’odioso nuovo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro. Sull’altro lato della bilancia, però, c’è il peso definitivo: 23 milioni di metri cubi di gas al giorno, tanti la Bolivia ne esporta al poderoso vicino.
MORALES E BOLSONARO si erano da poco incontrati: unico presidente di sinistra, el indio era andato a Brasilia all’«incoronazione» del fascista Bolsonaro, sollevando polemiche, e quel 1° gennaio Battisti era già in Bolivia. Ma nel 2019 accadranno due cose a La Paz: le presidenziali e il rinnovo dei contratti di cessione del gas. Morales cerca il quarto mandato. Il gas paga il 96% delle importazioni brasiliane in Bolivia e molti dei programmi di assistenza su cui Evo basa la sua popolarità – e milioni di boliviani poveri la sopravvivenza.
PER BATTISTI, il collegamento con la Bolivia era il vicepresidente Alvaro Garcia Linera, l’intellettuale della coppia di governo in cui Morales mette i muscoli. E a protestare per la cacciata di Battisti è il fratello del vicepresidente, Raul Garcia Linera, anche lui ex guerrigliero dell’Ejercito Guerrillero Tupac Katari con un passato in carcere. «Mi vergogno di questa azione del mio governo», ha detto, qualificandola come «ingiusta, codarda e reazionaria». Come lui alcuni gruppi della sinistra più radicale: Columna Somos Sur, Frente Revolucionario Comuna, La Resistencia Bolivia e Movimiento guevarista, un’importante giornalsta televisiva, Susana Bejarano, lo stesso difensore civico… Non abbastanza.
RIMPATRIARE BATTISTI come clandestino e non come terrorista è invece una trovata che sottrae all’odiato e temuto Bolsonaro la passerella internazionale su cui puntava per l’intera operazione. Per Battisti significa ergastoli veri invece dei 30 anni che sono la pena massima in Brasile, ma conta davvero per un uomo della sua età?
Da molto tempo il Brasile giocava con Battisti. Subito dopo l’impeachment contro Dilma Rousseff, in cui l’allora vicepresidente Michel Temer tradì la presidente per prenderne il posto, lo stesso Temer aveva parlato di estradare Battisti, con due obiettivi. Il primo era noto ed esplicito: guadagnare legittimità presso gli Usa come alleato «contro il terrorismo», comunque si manifesti. Il secondo era riservato, quasi un piano-pensione: accreditarsi presso l’Italia per diventare ambasciatore del Brasile a Roma. La strepitosa sede diplomatica di Piazza Navona è il sogno di Temer per chiudere la carriera, Battisti aiutava a realizzarlo.
PRESO IL SUO POSTO, Jair Bolsonaro ha pensato le stesse cose, baloccandosi con l’estradizione in attesa di una sentenza della corte suprema brasiliana (temporaneamente a favore di Battisti) ma sapendo che l’uomo che aveva salvato il ricercato italiano, cioé Lula, era in galera e dovrebbe restarci per altri 12 anni. La preda gli è sfuggita per colpa di Evo Morales, e non saranno gli sperticati elogi ricevuti in Italia a risarcirlo di una photo opportunity gonfiata oltre la decenza.
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