La guerra d’aggressione di Putin all’Ucraina vive uno stato di pericoloso «stallo», in attesa di nuovo spargimento di sangue, di fronte alla drammatica realtà che mostra l’irresolutezza delle armi, quelle usate per aggredire in modo criminale un paese sovrano e quelle usate per la legittima difesa che ormai sono diventate di offesa – e sono tante, Amnesty International ha denunciato che anche la loro dislocazione improvvida mette a rischio i civili.

È proprio in questo momento di vuoto che annuncia tempesta che vuole inserirsi, dal basso, il movimento per la pace che oggi scende in piazza a Roma chiamato ad essere protagonista da “Europe for peace”. Per una manifestazione che, ci auguriamo, sia piena di giovani, forte, variegata, unitaria contro la guerra. Senza bandiere di partito, sperando che a sinistra i partiti si occupino di pace non strumentalmente.

E che sventolerà le bandiere arcobaleno per un «raduno» che è una pratica della democrazia, così fragile in questo momento, rispondendo così all’arroganza di Giorgia Meloni che, dimenticando la stessa parola pace, sfotte arrogante: «Non è sventolando le bandiere arcobaleno che si fa la pace».

No, è vero il contrario. Dopo più di nove mesi di guerra, di stragi contro la popolazione ucraina, di repressione delle proteste dei giovani russi, di una escalation che ripropone – addio deterrenza – l’uso dell’arma atomica.

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Perché, nel deficit irresponsabile e criminale dell’azione diplomatica, c’è bisogno proprio di un attore nuovo, disperato ma rinvigorito, il pacifismo, capace di produrre immaginario futuro perché ha una storia da non dimenticare, in Italia e nel mondo. Un movimento che non è stato a guardare, con proteste nazionali e in ogni città subito dopo il 24 febbraio, carovane umanitarie a Kiev e sostegno a tutti i disertori.

Un movimento che dal basso chiede finalmente che l’«inutile strage» finisca, un negoziato e una Conferenza internazionale sul modello di Helsinki.

Coinvolgendo attori internazionali – l’Onu che sembra fuorigioco e cancellato da troppe sconfitte, insieme a Paesi come Francia e Cina che vedono nella continuazione di questo conflitto il disastro della loro stessa strategia politica; e protagonisti sociali – i sindacati e la società civile, tutti consapevoli dei costi spaventosi che l’«economia di guerra» arreca alle classi subalterne.

A chi serve che resti accesa una crisi bellica, un Afghanistan, nel cuore d’Europa? Nessuno vincerà questa guerra, ma tutti la perderanno.

A chi serve che non esista l’Unione europea? A troppi: al neo-zar Putin, al pesante latrare della Nato e ai nuovi sovranismi nazionalisti, all’arrembaggio da est e da ovest.

Serve ora un movimento che chieda dunque un cessate il fuoco e un tavolo negoziale. Se lo si è fatto per il grano perché, magari per gradi come accaduto per altre guerre, non è possibile avviare una iniziativa di mediazione per una tregua delle armi e sullo status di Donbass e Crimea? Subito. Perché ora la parola è solo alle armi. E se non c’è diplomazia serviranno altre armi, che occupano lo spazio abbandonato dell’iniziativa di mediazione e di pace.

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Sveliamo dunque il mondo in cui viviamo. Che crede di essere in pace mentre, al contrario vive «di» e «sulla» guerra, mentre nuovi e vecchi imperialismi e i mercanti di armi la fanno sempre da padrone, non solo in Ucraina ma in tutto il mondo, la cui condizione è di vivere i conflitti armati quotidiani e permanenti.

Non c’è infatti una guerra degli ultimi trenta anni che non abbia lasciato sul campo milioni di vittime civili – con crimini di guerra rimasti impuniti – e che non sia rimasta con la sua scia di sangue e odio a determinare il presente, fatto di una geopolitica che dispiega bandierine, ma resta incapace di capire e fermare la deriva di morte tornata in piena Europa dopo la crisi jugoslava.

A proposito di guerre d’aggressione, vale per l’Iraq, per la Libia, per la Siria, per il Libano, per la Palestina, per il Kosovo, per l’Africa, per la tragedia dei migranti in fuga da nuova miseria e nuovi conflitti armati da noi alimentati.

Per questo il manifesto oggi è in piazza e partecipa di questo movimento che ha nel suo Dna. Il manifesto, quotidiano comunista, che ha iniziato i suoi primi passi più di cinquanta anni fa protestando contro l’aggressione sovietica a Praga e contro quella americana al Vietnam, contro ogni imperialismo.