Matteo stai sereno. Sulla riforma della scuola non c’è bisogno di correre, «non dobbiamo farci prendere dalla fretta per arrivare velocemente a concludere. Un tempo più disteso, senza l’acqua alla gola, consente di riflettere e di dialogare per ottenere risultati migliori».

Il cardinal Bagnasco chiude l’Assemblea generale della Cei e, rispondendo a una nostra domanda durante la conferenza stampa finale, invita il governo a togliere il piede dall’acceleratore sulla riforma della scuola, duramente contestata da sindacati, insegnanti e studenti.

E fa propria una delle richieste più insistenti dell’opposizione, finora sempre rigettata dal premier e dalla ministra Giannini: l’inserimento del provvedimento sull’assunzione dei precari in un decreto legge ad hoc, così da poter discutere della riforma senza il ricatto di far saltare 100mila posti di lavoro qualora la «buona scuola» non venisse approvata. Occorre trovare «sintesi in tempi ragionevoli, magari distinguendo temi ed obiettivi», aveva detto Bagnasco martedì scorso, durante la prolusione dell’Assemblea. E ieri ha esplicitato: «Se poi ci sono delle urgenze, come nel caso dell’assunzione dei precari, nulla vieta di scorporarle dal resto della riforma sulla scuola».

Sono stati resi noti anche i nuovi dati relativi all’otto per mille, che evidenziano un calo significativo per la Chiesa cattolica. Dopo diversi anni l’incasso scende sotto quota un miliardo. Non accadeva dal 2009, quando furono incamerati 968 milioni. Quest’anno alla Chiesa cattolica sono stati assegnati 995 milioni, 60 in meno del 2014, quando invece venne raggiunta quota 1 miliardo e 55 milioni.

I motivi dell’emorragia sono tre: la diminuzione complessiva dell’Ire (ex Irpef), che quindi riduce l’incasso; un conguaglio negativo di 17 milioni di euro (soldi che erano stati assegnati in più nel 2014 e che ora sono stati recuperati dallo Stato); e soprattutto il calo di firme a favore della Chiesa cattolica, scese di oltre 2 punti, dall’82,28% all’80,22%. Ricordando sempre che non si tratta di una percentuale assoluta – l’82% di tutti i contribuenti –, ma relativa a coloro che scelgono una destinazione dell’otto per mille, ovvero circa il 45% dei cittadini che presentano la dichiarazione dei redditi (il restante 55% lascia tutte le caselle in bianco, ma la quota viene comunque ripartita proporzionalmente in base alle scelte di coloro che hanno firmato).

Quindi in realtà è circa il 35% dei contribuenti a destinare il proprio otto per mille alla Chiesa cattolica.

Non c’era ancora l’effetto papa Francesco: i soldi del 2015 si riferiscono alle dichiarazioni dei redditi del 2012, e Bergoglio venne eletto al soglio pontificio nel marzo 2013 (quindi è presumibile che il prossimo anno le cifre torneranno a salire). C’era invece l’effetto Vatileaks, che esplose proprio in quel periodo.

Nella ripartizione dei fondi – approvata dall’Assemblea della Cei – c’è qualche piccola variazione ma si conferma la tendenza degli ultimi anni: buona parte dei fondi (73%) è utilizzata per «esigenze di culto e pastorale» (403 milioni, il 40% del totale, 30 milioni in meno rispetto al 2014) e «sostentamento del clero» (327 milioni, il 33%, 50 milioni in meno rispetto allo scorso anno); una percentuale minore – anche se la martellante campagna pubblicitaria sembra reclamizzare l’opposto – per gli «interventi caritativi» (265 milioni, il 27%, 20 milioni in più rispetto al 2014). Insomma la spending review non ha colpito il «sociale» ma il culto e il «personale».