Internazionale

Ayotzinapa, nove anni dopo. Un’ombra sulla presidenza Amlo

Ayotzinapa, nove anni dopo. Un’ombra sulla presidenza AmloAndrés Manuel López Obrador, con la first lady Beatriz Gutiérrez Müller, nel giorno dell'Indipendenza, lo scorso 16 settembre – Ap

Messico Il caso dei 43 studenti scomparsi irrompe nella campagna elettorale. E il presidente Lopez Obrador difende l'esercito

Pubblicato circa un anno faEdizione del 27 settembre 2023

Nove anni dopo la sparizione dei 43 studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa ancora verità e giustizia sono lontane. L’anniversario cade di fatto dentro alla campagna elettorale che muoverà la politica messicana fino alla prossima estate. La sorte dei 43 e l’impegno per la risoluzione del caso erano due dei capisaldi della corsa alla presidenza di Amlo nel 2018, ora la questione è tornata d’attualità divenendo uno degli elementi con cui sarà valutata la sua presidenza. Non solo, Omar García Harfuch, uno dei più fidati collaboratori dell’attuale candidata alla presidenza per Morena, Claudia Sheinbaum, secondo quanto riportato dal quotidiano El País México è risultato, da documenti della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena), presente ad alcune riunioni per discutere il caso Ayotzinapa il 7 e 8 ottobre, 2014 insieme ad altre autorità locali e federali, a Iguala, Guerrero, all’interno della 27esima base di Fanteria.

Quelli erano i giorni in cui la Procura della Repubblica fabbricava la “verità storica” poi demolita dalle indagini indipendenti. García Harfuch ha confermato la presenza dicendo di aver solo “ascoltato”.

Sicuramente la notizia ha rallentato, se non cancellato, la corsa dell’ex Segretario alla Difesa della capitale a governatore di Città del Messico ma ha anche gettato più di un dubbio su Morena e il ruolo del partito, oltre che le scelte di Lopez Obrador, sul caso. Sheinbaum ha difeso il suo alleato e Lopez Obrador ha ribadito in conferenza stampa, e in una riunione con i parenti dei 43, che non è vero che l’Esercito non ha dato informazioni, anzi che le ha date tutte ma che comunque “andrà a cercarne altre” e ha aggiunto, attaccando gli avvocati dei giovani, “vogliono offuscare le indagini e squalificare il lavoro che stiamo svolgendo. Vorrei solo chiedere a questi pseudo-difensori dei diritti umani, della cosiddetta società civile o delle organizzazioni non governative, tra virgolette: dove sono detenuti così tanti prigionieri per un crimine di scomparsa come questo? In quale Paese?”.

Il caso è centrale non solo per la portata, non solo perché la lotta dei genitori e le indagini indipendenti hanno decretato le responsabilità politiche dello Stato, non solo perché sarà per sempre scolpito nella storia del paese, ma soprattutto perché rappresenta emblematicamente il legame ambiguo e ambivalente tra i gruppi del crimine organizzato, la violenza e la varie ramificazioni dello Stato.

Una ferita aperta che non si appresta a chiudersi anche perché l’Esercito, pian piano, in questi sei anni di governo Morena ha visto una significativa crescita di ruolo ed importanza e il radicamento dei gruppi criminali si estende a sud dove crescono grandi progetti infrastrutturali, assieme alla centralità che il confine con il Guatemala ha assunto per il nord del continente. Il tutto sembra sempre più un laboratorio economico politico che, con la violenza e la paura, ambisce a determinare il controllo totale del territorio a favore dell’interesse economico.

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