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Autunno caldo elettorale da Quito a Bogotà

Autunno caldo elettorale da Quito a Bogotà

America latina Ottobre sarà un mese importante per valutare lo scontro in corso in tutto il continente a sud del Rio Bravo che oppone uno schieramento progressista sempre più orientato alla socialdemocrazia […]

Pubblicato circa un anno faEdizione del 15 ottobre 2023

Ottobre sarà un mese importante per valutare lo scontro in corso in tutto il continente a sud del Rio Bravo che oppone uno schieramento progressista sempre più orientato alla socialdemocrazia e una destra che va dall’estremo anarco- capitalista trumpista dell’argentino Javier Milei al golpismo istituzionale, il lawfare, dell’oligarchia guatemalteca.

Con il ballottaggio per le presidenziali di oggi in un Ecuador sempre più destabilizzato dal narcotraffico inizia una stagione elettorale che vedrà il 22 nel paese della crisi eterna, l’Argentina, il tentativo di assalto alla presidenza di Milei. Lo stesso giorno l’apposizione venezuelana cercherà di trovare l’unità attorno a un candidato da opporre all’attuale presidente Maduro nelle presidenziali dell’anno prossimo. Infine il 29 in Colombia verranno eletti governatori e sindaci che configureranno il potere territoriale col quale dovrà confrontarsi il presidente Petro, sempre più sotto attacco della destra uribista.

Ma probabilmente è lo scontro in atto in Guatemala, quello che attira l’attenzione. Continua infatti il paro nacional, lo sciopero richiesto dal vincitore delle ultime elezioni presidenziali, il progressista Bernardo Arévalo, di fronte al golpe istituzionale messo in atto dalla Procura generale per conto della potente oligarchia che da decenni controlla tutto in Guatemala. E che vuole ribaltare la sentenza delle urne sospendendo il partito del vincitore, Semillas, e cercando di invalidare il voto. Il presidente colombiano Gustavo Petro la scorsa settimana ha incitato tute le forze della sinistra latinoamericana a coalizzarsi per contrastare il lawfare delle destre guatemalteche. Il Brasile del presidente Lula si è unito nei giorni scorsi all’allarme. Eventuali successi degli schieramenti progressisti nel subcontinente sarebbero trasformati in vittorie di Pirro se l’esempio del Guatemala si imponesse e se il golpe istituzionale fosse la scelta delle destre del subcontinente.

In Ecuador si scontrano nel ballottaggio la candidata progressista Luisa González e il giovane imprenditore Daniel Noboa, in un paese divenuto tra i più violenti dell’America latina a causa delle dispute per il controllo del territorio tra cartelli del narcotraffico. Tanto che il presidente uscente, Guillermo Lasso, ha raggiunto un accordo con gli Stati uniti per l’invio in Ecuador di truppe che aiutino a combattere i narcos. Entrambi i candidati sono figure relativamente nuove nella scena politica e entrambi si muovono sotto l’ombrello di potenti padrini. González cercherà di riportare al governo le forze di sinistra che fanno capo all’ex presidente Rafael Correa. Noboa, figlio del milionario Álvaro, per cinque volte candidato presidenziale, tenta di presentarsi come volto nuovo e pulito della destra. Ma alcuni uomini della sua squadra, legati al padre, sono palesemente nei tentacoli dei narcos.
Le inchieste in Argentina sembrano non lasciare dubbi, il candidato di estrema destra che si definisce antisistema è in testa. Ma Javier Milei non sembra avere i numeri per dare la stoccata e vincere al primo turno. Il ballottaggio sarà da infarto, anche perché è difficile prevedere chi sarà l’avversario di Milei. Sergio Massa sembra potercela fare se i peronisti si tureranno il naso e lo voteranno per tentare di restare alla Casa Rosada. Ma la rappresentante della destra conservatrice, Patricia Bullrich, potrebbe essere la sorpresa.

Sorpresa che non sembra potersi avverare in Venezuela dove María Corina Machado, leader dell’ala più radicale dell’opposizione, è in testa nei sondaggi anche perché il sempreverde “moderato” Enrique Capriles si è ritirato. Le primarie saranno organizzate dall’opposizione in forma indipendente dall’ufficiale Consiglio nazionale elettorale. E dunque non è detto che i risultati siano accettati dal governo di Maduro.

Infine, l’ultima domenica del mese i colombiani dovranno eleggere i poteri locali. Il partito del presidente Petro ha poche probabilità di successo, a parte l’alcaldia di Bogotá. I clan politici locali sfuggono a un rigido controllo dei partiti. Ma difficilmente i risultati saranno tali da aiutare il governo del presidente.

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